Una Regina vera, messa sul trono quasi per scommessa, e destinata invece ad essere in assoluto la monarca più amata dai suoi sudditi, l’ideatrice di un’oculatissima politica estera, l’artefice di alcune tra le più innovative riforme dei suoi tempi e nel contempo uno dei sovrani più potenti della Terra che fece dell’Inghilterra la maggiore potenza economica e industriale, una grande statista che acquisì per l’Impero Britannico possedimenti in ogni parte del mondo, estendendo il dominio dei Windsor fino all’India, all’Africa e all’Oceania.

Quando già la sua popolarità era all’apice, per amore della ragion di Stato, la regina Vittoria si dedica a quella che era la prima missione di un monarca illuminato, generare degli eredi e garantire la continuità al trono.

Al momento di sposarsi, ancora giovanissima, Vittoria non ha tentennamenti o esitazioni, non abbocca alle lusinghe di nuove alleanze, non cede alle pressioni delle corti di mezza Europa, ma decide di ripagare, lealmente, il suo antico debito con il Regno del Belgio, che aveva contribuito, e non poco, a insediarla sul trono, sposando nel contempo una persona che conosceva bene e che aveva condiviso assieme a lei gli studi e i giochi della fanciullezza. Scegliendo suo cugino Alberto, la regina si assicura una valida alleanza, una protezione potente, sempre utile in caso di bisogno, e al contempo un coniuge fidato, un valido compagno, una spalla su cui appoggiarsi e un valente consigliere.

Ma questa felice unione si rivela essere, soprattutto, cosa molto insolita per un sovrano, una profonda intesa amorosa.

Uniti da un sincero affetto e da un amore appassionato, nel giro di undici anni, Alberto e Vittoria mettono al mondo nove figli. Ma alla regina tocca presto l’amaro destino di seppellire, anzitempo, molti dei suoi discendenti, intaccati dall’emofilia, di cui ella era solo portatrice sana, e trasmessa, secondo le fatali leggi della genetica, non ancora conosciute all’epoca, a tutta la sua prole.

Tra questi dolorosi lutti spicca la morte di Alice, la figlia prediletta di Vittoria, seguita a breve termine dalla perdita del Principe Consorte, Alberto, che morirà nel 1861 per le conseguenze di una violentissima febbre tifoidea.

Per due anni dalla morte di Alberto la regina Vittora osserverà il lutto più stretto, imponendo severe restrizioni agli svaghi della corte, giungendo a trascurare perfino gli affari di Stato.

Totalmente immersa nel suo dolore, forse solo ora per la prima volta la Regina si rende pienamente conto di quanto fosse importante per lei la rassicurante presenza del Principe Consorte, sempre tenuto piuttosto in ombra, ma comunque eternamente al suo fianco.

Grande amante delle passeggiate a cavallo e degli sport equestri, ripresasi dal lutto, Vittoria senza quasi accorgersene consegna la sua stima e la sua fiducia a un personaggio piuttosto umile, presto elevato al rango di consigliere non ufficiale. Lo stalliere John Brown è la sua spalla, il suo tacito conforto, fino al 1883, quando rimane misteriosamente vittima di un’aggressione, per poi morirne.

Certo a corte dovevano essere in molti a non vedere di buon occhio questa eccessiva intesa tra una delle Sovrane più potenti della terra e un infimo stalliere, e forse si cominciava a temere che l’inossidabile Vittoria, con l’avanzare dell’età e dopo i molti lutti subiti, potesse rivelarsi presto inabile al comando e incapace di regnare, comunque la tesi di un complotto non venne mai accertata.

Il fatto è che la Regina, a 64 anni, è praticamente sola al mondo, il coniuge deceduto, i figli morti prima del tempo, lo zio Leopoldo e la mamma Vittoria Maria Luisa che non ci sono più, tutti i nomi che le vengono alla mente corrispondono ormai a tombe, fredde lapidi e incisioni alla memoria.

I pochi figli sopravvissuti all’emofilia sono dispersi per le corti europee, a lei sottratti dalle necessità della ragion di stato, impiegati, come le pedine di una scacchiera, in un complicatissimo, ma necessario, gioco di alleanze politiche e matrimoni.

Nessuno dei superstiti brilla per carattere, intuito e sagacia, sono marionette inerti nelle mani della madre che, pur amandoli, li despotizza e li tiranneggia anche da lontano. Completamente assenti dagli intrighi di corte, personaggi deboli, indecisi, inconsistenti come figurine di carta, non sembrano aver ereditato nemmeno una delle qualità materne, non sono predisposti alla politica, non capiscono nulla di riforme, non si interessano all’economia, per loro le guerre coloniali sono semplici cambiamenti sullo scacchiere internazionale, una specie di insipido gioco politico di cui non immaginano nemmeno la vitale importanza.