Il quinto romanzo di Franco Festa, Il respiro del male (ed. Mephite, euro 12) si svolge nella primavera del 1980. Il lettore farà subito sua la storia di Claudia, una giovane commessa il cui cadavere è ritrovato nel cortile di un liceo, e di Rino, amico di un terrorista e risucchiato in una storia più grande di lui: entrambe vittime innocenti di una malvagità sempre più spietata.

Intorno a loro si muovono figure ambigue, alla vana ricerca di un equilibrio: una madre senza nome che non ha mai amato la propria figlia, un costruttore travolto da una passione senza tregua; e figure femminili memorabili, come Elvira e  Teresa, pronte a tutto per la difesa della propria  autonomia e dei propri ideali, o Graziella, creatura poetica e decisiva.

Si agitano inoltre ossessive storie familiari, che hanno come protagonisti Bruno e Luisa, e amicizie tradite. Ma c’è soprattutto lui, il commissario Mario Melillo, ora alle soglie della pensione, ancora più fragile e amareggiato, ma sempre teso alla ricerca della verità, nonostante l’universo arreso in cui si muove: quello della sua piccola città, divorata dalla tensione spasmodica a cancellare ogni traccia civile di sé, dominata dalla grettezza e dalla cecità delle persone. Gli sono vicini solamente l’ispettore Vietri, a lui legato da ammirazione e da affetto, e Lucia, un’amica che prova a percorrere lo spazio indecifrabile e delicato fino all’ amore.

Con il suo intuito, la sua capacità di entrare in sintonia con l’anima profonda delle persone e delle cose, la sua attenzione commossa ai drammi giovanili, Melillo prova a mettere ordine in una storia tracimante violenza e dolore, anche se ormai l’ ordine sembra perduto per sempre. Il rigore del suo agire, la sua scelta di solitudine, l’amore straziato per la sua città gli consentiranno di districarsi tra apparenze ingannevoli e tentazioni di facili scorciatoie e di arrivare alla verità.

La quinta storia che vede protagonista il commissario segna anche l’epilogo – provvisorio o definitivo? - di una sua ricerca iniziata molti anni prima, nel dopoguerra, la cui vera protagonista è la città in cui vive, un’Avellino mai nominata, con le sue feroci trasformazioni. E sarà proprio sulla riva del suo fiume più caro che Melillo, colpito ma mai arreso, tirerà le amare conclusioni di questa storia e della sua vita.