Una bella idea davvero quella di invitare certi blogger a scrivere racconti sul tema “Almeno un morto” nelle varie sfaccettature della letteratura poliziesca. In tutto dieci che rappresentano, come scrive Giuseppe Previti nella prefazione “l’ennesima conferma di una passione infinita verso questo genere letterario”. Merito della casa editrice, dello stesso Previti e della curatrice Monica Bartolini.

Avevo già scritto “Veniamo a qualche breve spunto…” con l’idea di appuntare i fatti salienti dei racconti prima di buttar giù la recensione quando, dopo un po’, mi sono stancato (appartengo alla congrega degli sfaticati nati il 1° maggio) e ho deciso di non interrompere più la lettura ma di gustarla lentamente. Ed è venuta fuori una ricca miscela di idee, invenzioni e soluzioni tipiche di ogni giallo, thriller o noir che si rispetti. Partendo dalla famiglia. Dalla violenza e dal male che si annida dentro l’universo familiare, come quella orrenda maschilista sulle donne e sugli altri elementi più deboli sin dall’infanzia. Con tutte le conseguenze possibili sulla loro vita presente e futura che possono portare anche al delitto. Violenza o mancanza di amore da parte degli adulti e a volte degli stessi figli che non vedono l’ora di rinchiudere i propri vecchietti in una casa di riposo. Se a ciò si aggiunge anche quella sociale il quadro che ne deriva risulta davvero raccapricciante. D’altra parte almeno un morto è indispensabile in questi racconti, e dunque l’istinto omicida  deve pur venire fuori da qualche sanguinosa fessura.

Altro elemento importante l’amore (mi viene in mente Ah, l’amore l’amore di Antonio Manzini), il sesso, i festini, la baldoria e il tradimento che provocano inevitabilmente situazioni angosciose per chi lo subisce e, inevitabilmente, un finale tragico per chi lo ha prodotto. Anche se non sempre tutto fila liscio come l’olio, perché a volte il Caso ci mette lo zampino (mi ricorda qualcuno…), persino due volte, e alla fine addirittura nelle vesti di un tappeto sgualcito…

La scena si può svolgere in qualunque luogo, spesso in ospedale dove già aleggia per le stanze l’ombra della morte (qui si può anche tirare il calzino scivolando sul borotalco)  e nascere da un vero e proprio incubo. Vedi il tizio che si risveglia dentro un freezer (giuro) in una baita di montagna (chi ce l’ha infilato?) mentre qualcuno sta preparandogli la fossa. Oppure il terribile assassino che uccide seguendo le indicazioni di due alieni (arigiuro!) usciti da un ripetitore telefonico. E se non è pura e cruda realtà, allora si tratta, comunque, di pura e cruda allucinazione (siamo sempre in ospedale).

Non manca, non poteva mancare il serial killer, personaggio pazzesco di mille avventure tutto preso dall’odio viscerale per le donne e nello stesso tempo appassionato di fiori (che carino!). E le donne? Hanno almeno una parte nefasta in questa tregenda di sangue? Certo che ce l’hanno. Come quella che se ne va in crociera con il figlio armata di tutto punto per far fuori la vittima predestinata. E non c’è bisogno di pistole e coltelli. Alla donna basta il veleno e un po’ di sorriso a tirar su l’angosciato lettore in questa valle di lacrime.

Il tutto costruito con gli ingredienti essenziali tipici di questi particolari racconti: brivido, paura, panico, alternarsi di sequenze temporali e di personaggi ognuno con le proprie caratteristiche, il passato penoso e tragico che si riversa nel presente, l’uso delle frasi in corsivo, i tentativi di depistare il lettore, il famoso colpo finale a sorpresa. Eccetera, eccetera.

Davvero una bella iniziativa e un bel libro.