Una figura per noi di estremo interesse attraversa le pagine di questo saggio divulgativo: Sherlock Holmes. Lo fa insieme a numerose altre, la gran parte delle quali sono scienziati, ricercatori e premi Nobel, e incuriosisce dunque conoscere il motivo della sua presenza in tale contesto.

Vedremo alla fine che SH, il suo modo di ragionare e di investigare, il suo fare ricerca, saranno per l’autore utili argomentazioni per delineare, anche se per contrasto, l’accezione più corretta di “serendipità” in ambito scientifico.

Ma andiamo con ordine. Telmo Pievani è un filosofo della scienza, allievo del compianto Giulio Giorello, particolarmente interessato alla teoria darwiniana dell’evoluzione, e noto anche per esserne un attivo divulgatore.

In questo saggio si occupa però di un particolare fenomeno chiamato appunto “serendipità”, la cui definizione più generale è: cercare una cosa e trovarne un’altra. Insomma, un modello di “non intenzionalità”, che però comporta una certa sagacia per accorgersi della scoperta fatta, della cosa trovata, e per coglierne l’importanza. Ci vuole dunque anche familiarità ed esperienza con l’ambito dell’indagine, della ricerca che si sta facendo.

Premettiamo che, per i suoi interessi, l’autore analizza il possibile ruolo della serendipità nella ricerca scientifica, cioè nella concreta attività degli scienziati che fanno scoperte. In particolare, quando trovano qualcosa di nuovo e rivoluzionario mentre cercano altro.

Telmo Pievani
Telmo Pievani

Pievani dedica l’ampia parte iniziale del suo libro alla nascita del termine, coniato da Horace Walpole nel 1754, e alla sua diffusione, più o meno travisata nel significato, nel mondo culturale anglo-sassone. Per spiegare l’etimo della parola, aggiungiamo che Walpole si ispira a una situazione narrata in una novella di origini orientali, che riguarda le avventure di tre principi di Serendippo, antico nome persiano dello Sri Lanka.

Prendendo in esame le varie accezioni utilizzate nel corso degli anni, Pievani ne verifica poi la congruità, la parzialità o il cattivo uso che ne è stato fatto, finendo per individuare alcune definizioni coerenti di “serendipità”. Queste sembrano solo sfumature, ma sono sostanzialmente diverse e non tutte soddisfacenti.

Sarà proprio per illustrare una di queste definizioni che, tra gli altri, verrà chiamato in scena più volte anche Sherlock Holmes.

Il sottotitolo di questo libro, l’inatteso nella scienza, sintetizza bene che il criterio scelto per descrivere queste diverse accezioni di serendipità è quello di caratterizzarle secondo il grado di accidentalità che entra in gioco nella scoperta scientifica.

Solo di passaggio, notiamo qui che l’intento di fondo dell’autore sembra quello di rintracciare nella serendipità, se non la logica, almeno la dinamica razionale della scoperta scientifica.

Considerazioni interessanti da seguire, ma che oltre ad essere specialistiche paiono allontanarci dall’obiettivo della nostra curiosità iniziale: come e perché viene coinvolto Holmes?

Pievani lo chiama in causa come il massimo rappresentante, una sorta di campione, di un certo tipo di serendipità, non molto adatta, però, al suo scopo di studiare il meccanismo della scoperta scientifica. In questa variante, infatti, il grado di accidentalità è pari a zero; l’indagatore sa bene quale è il problema e grazie alle sue straordinarie capacità abduttive risolve il mistero, analizzando gli indizi e interpretando i segni, come un detective.

Delineando un percorso che parte dalla novella di Cristiano Armeno sui tre principi di Serendippo (la stessa da cui Walpole aveva tratto ispirazione per coniare il concetto di serendipità), passando per il personaggio Zadig di Voltaire e terminando con Sherlock Holmes, Pievani illustra la nascita e lo sviluppo di questo procedimento indiziario.

In pratica si tratta di ab-durre, da quanto si può osservare, ciò che non si vede e che lo ha prodotto, scegliendo la spiegazione migliore; un’ipotesi, quindi, che se verificata spiegherebbe l’insieme dei fatti osservati, aumentando le nostre conoscenze.

Alla base del procedimento indiziario si può insomma porre il “rigore elastico” teorizzato da Carlo Ginsburg nel 1979. Lo stesso Pievani lo riconosce esplicitamente richiamandolo nel suo saggio: rigore elastico da intendersi come uno stile della ragione che si alimenta di fiuto, colpo d’occhio, intuizioni non formalizzabili e tanta esperienza.

Come anticipato in apertura, l’autore ne ricava che le connessioni tra le capacità abduttive e il trovare quello che non si sta cercando restano deboli. Lo Zadig di Voltaire, il Dupin di Poe e soprattutto il nostro Holmes, sanno tutti bene quello che cercano, applicano il metodo indiziario e colgono nel segno.

Il risultato finale è quasi una negazione della serendipità, o almeno un suo forte indebolimento.

Pievani ci fa notare che Doyle stesso, parlando della nascita del suo personaggio, riteneva che nella vita reale i colpi di fortuna non accadono quasi mai. Il suo protagonista si guadagna il successo con la fatica e il ragionamento, e non scopre i colpevoli per circostanze accidentali. SH, quasi disumano e senza cuore, scrive ancora Pievani, ma dotato di straordinaria intelligenza logica, porta l’abduzione a conseguenze estreme, presentandola come una “scienza” della deduzione, che però si allontana molto dall’essere serendipitosa.

L’aspirazione ad essere una scienza, perdipiù perfetta, è ostacolata dalla natura contorta ed enigmatica di alcune (imprevedibili) azioni umane. Di fronte a più ipotesi risolutive, anche per SH resta allora il calcolo delle probabilità e a volte la fortuna, ma solo di rado.

Per quanto detto finora, dunque, si può ribadire che Pievani chiama in causa SH come un cattivo esempio di serendipità. Pensando alla sua figura e tornando al piano generale del libro, la parentela tra il sapere indiziario e la serendipità deve essere ristretta al fatto che le capacità abduttive sono tra i fattori che favoriscono il trarre profitto dall’inatteso, cioè a immaginare l’imprevedibile a partire da indizi.

In conclusione, SH e il suo modo di indagare, di fare ricerca, attraversano le pagine di questo libro come un caso di serendipità incompleta, solo parente di quella vera. Per l’intento di Pievani di applicare la serendipità alla logica della scoperta scientifica, all’inatteso nella scienza, l’esempio di SH non è dunque soddisfacente.

Peccato che, per noi almeno, questa inadeguatezza raccolga quasi tutte le caratteristiche che ce lo fanno amare così tanto!

A parte la presenza di SH, è doveroso dire che il libro di Pievani è da considerare comunque interessante ed apprezzabile; ricco di spunti di riflessione e di aneddoti su invenzioni che hanno modificato la nostra vita anche nella sua quotidianità. Per illustrare e argomentare il suo punto di vista, inoltre, l’autore si affida spesso a testimonianze dirette degli scienziati, di coloro che hanno fatto concretamente ricerca scientifica e straordinarie scoperte, risultando spesso convincente.

“Serendipità. L’inatteso nella scienza” di Telmo Pievani.

Milano, Raffaello Cortina Editore, 2021.

pp. 254, euro 15.