
Se l’eco delle avventure di Baker Street sembra aver detto tutto, la regista indo-canadese Deepa Mehta promette di ribaltare le certezze con Sher, una serie tv in fase di sviluppo che trasporta l’eredità holmesiana nella Calcutta coloniale di fine Ottocento. Protagonisti: un Dr. John Watson in crisi di popolarità, una metropoli crepitante di contraddizioni imperiali e, soprattutto, Sher, la figlia segreta del celebre detective, nata da una relazione giovanile con una studentessa indiana di Cambridge.
Il colpo di scena – e anima del titolo – è la comparsa di Sher Holmes. Abbandonata in tenera età dalla madre (morta di colera), è stata educata in un convento di Chandannagar e coltiva un talento investigativo degno del padre, ma filtrato da sensibilità indigena: osserva gli odori delle spezie, la postura dei rikshawalla, il suono inconfondibile delle conchiglie puja.
La scoperta paterna la getta in un conflitto identitario: meticcia, donna e geniale in una società vittoriana che non contempla nulla di tutto ciò. Mehta, già celebrata per la trilogia “Fire-Earth-Water”, torna a interrogare i margini sociali scegliendo la lente dell’avventura pop, dimostrando come il femminile e il post-coloniale possano convivere con l’intrattenimento di massa.
Lo show mescola la commedia slapstick (Watson che suda in giacca di tweed sotto il monsone) con intrighi alla Conan Doyle: trafugamenti al Museo Indiano, un assassinio sul ponte di Howrah, un complotto finanziario che muove capitali fra Londra e Calcutta.
Sher, sceneggiato dall’inglese Johnny Gurzman, promette di essere l’incontro inedito fra il detective classico e la pluralità post-coloniale contemporanea: un viaggio attraverso Calcutta, l’ultimo strascico dell’età vittoriana e la nascita di una nuova eroina. Con Deepa Mehta al timone, ci si può aspettare uno show che non solo intrattiene, ma invita a rileggere l’imperialismo britannico e le potenzialità del femminile nel genere mystery. Se Watson è la coscienza morale smarrita dell’Impero, Sher ne è il futuro ribelle: la tigre che ruggisce per sé stessa – e forse anche per noi spettatori.
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