“Alla sinistra del tavolo da trucco c’era un armadio alto e stretto, con l’anta aperta. Sopra l’anta era fissata una sbarra con un gancio. E appeso al gancio c’era Jay Otto, il Grande Nano, il viso scuro e privo di colore, penzolante da un cappio che agli occhi offuscati di Malone sembrava formato da lunghe, luccicanti calze di seta”.

“Undici calze?, ripeté lei lentamente. “La cosa strana è che sono tutte di misure diverse!”.

“La custodia da contrabbasso che conteneva il corpo di Jay Otto, il Grande Nano, era sparita”.

“Non ci fu risposta. Dopo un’ultima serie di squilli e pugni alla porta, Melene diede un’altra sbirciata dalla finestra. Ruth Rawlson non si era mossa”.

“Proprio accanto alla loro porta, appoggiata alla parete, c’era la custodia di contrabbasso scomparsa”.

“Oh, no! Non può essere lei! Perché è la ragazza che Ned è andato a sposare a Crown Point!”.

“La minuscola forma di Jay Otto giaceva al centro esatto del suo letto enorme, un modello costruito apposta per lui, con indosso uno sgargiante pigiama di seta, la testa posata sul cuscino dai ricchi ricami. I segni del cappio che lo avevano strangolato spicavano ancora, scuri e orribili, sulla sua gola”.

Ho trascritto la fine dei primi sette capitoli di questo capolavoro di Craig Rice Undici calze di seta, Polillo editore 2004, per mettere in rilievo l’indiscussa capacità dell’autrice di tenere sempre all’erta l’attenzione del lettore. Da questa breve lettura si può già capire che è stato ucciso un nano strangolato con undici calze di seta diverse fra loro, che il suo corpo è stato infilato nella custodia di un contrabbasso e che si ritrova, in seguito, bello disteso nel suo letto. Che la custodia finisce accanto alla porta di due personaggi principali ecc…Un bel groviglio di situazioni che vede impegnato il trio Malone, celebre penalista di Chicago, Jake proprietario del locale dove si esibisce il Grande Nano e la moglie Helene a risolvere il mistero della sua morte.

Due parole su Malone: è piccolo, beve (parecchio), fuma il sigaro, non vuole ficcarsi nei guai ma alla fine ci si infila “L’ultima volta che mi sono immischiato in una faccenda simile mi è scoppiata una bomba sotto i piedi, sono quasi affogato in un fiume, mi hanno intrappolato in un manicomio in fiamme, e tutto ciò che ne ho ricavato è stato un pidocchioso migliaio di dollari”. E, come si capisce da questa dichiarazione, possiede il senso dell’iperbole e dell’ironia. Vince la paura con l’aiuto della nonna, ovvero con le parole che la nonna gli diceva spesso per affrontare le creature orribili della notte “Basta guardarle e fare finta che non siano là, e restare perfettamente immobili, e ben presto se ne andranno per conto loro”. Perciò non si lascia prendere dal panico “Mai fasciarsi la testa prima di averla rotta. Tienilo a mente, le cose non sono mai così brutte come sembrano”. Grande tenerone “Era questo che capitava, si disse, a lasciare che donne senza scrupoli sfruttassero le sue simpatie. A tornare una, due, tante volte in una casa da gioco che lui sapeva essere disonesta. Ad avere il cuore tenero. A prendere la ricca parcella incassata dall’allibratore che aveva difeso la settimana prima e a prestarla alla vedova di un poliziotto, invece di spenderla in modo stravagante per se stesso. Era così che andava a finire”.

Deve vedersela, insieme agli altri due, con Daniel von Flaganan, capitano della squadra omicidi che non va pazzo per il suo mestiere. “Von Flaganan non amava i delitti, gli causavano sempre troppi problemi. Non amava neppure gli assassini, considerandoli esseri malevoli che andavano in giro ad ammazzare la gente solo per rendere difficile la vita al capitano von Flaganan della Squadra Omicidi. In modo particolare non amava gli omicidi e gli assassini che lo costringevano a sfrecciare attraverso la città a tutta birra (il suono delle sirene gli causava sempre un’emicrania) alle otto di mattina. In aggiunta a tutto questo, non amava i delitti nei quali risultavano coinvolti sia pure lontanamente Jake, Melene e Malone, poiché l’esperienza gli aveva insegnato che quei casi erano invariabilmente complicati e difficili”. Per sua sfortuna il nostro capitano se li ritroverà davanti in altri undici romanzi e alcuni racconti che Craig Rice (suo vero nome Ann Randolph) sfornerà con successo. Meno successo ebbe, invece, la sua vita privata (1908/1957). Praticamente abbandonata dai suoi genitori in giro per l’Europa a divorziare e a risposarsi anche lei prende questo vizietto e contrae cinque matrimoni da cui ha due figlie ed un figlio. Sorda da un orecchio e cieca da un occhio è attratta dalla bottiglia come e più di Malone tanto che deve essere ricoverata al Camarillo State Hospital per alcolismo cronico. Viene trovata morta nel suo appartamento di Los Angeles a soli quarantanove anni. Una triste fine che lascia l’amaro in bocca. Soprattutto a quelli che l’hanno conosciuta. E’ noto l’epitaffio di Ellery Queen riportato nell’ultima pagina del libro “Era una donna sregolata, stravagante e meravigliosa; era gioiosa, impulsiva, generosa, spesso sconsiderata; era piena di paure e nello stesso tempo coraggiosa; ed era incosciente e saggia, ben oltre la sua età”. Ecco perché scriveva così bene.

 

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