Torniamo a quel 15 luglio 1905, quando esce la prima avventura di Lupin.La scena si apre su un voyage, proprio come l’incipit del romanzo di Mirbeau. Una crociera di gente per bene viene d’un tratto funestata da un messaggio inquietante: «in un pomeriggio tempestoso il telegrafo senza fili ci trasmetteva un dispaccio di cui ecco il tenore: Arsène Lupin a bordo, prima classe, capelli biondi, ferita avambraccio destro, viaggia da solo, sotto il nome di R...» Il messaggio si interrompe a causa di un «tuono violento» e così non si può sapere sotto quale nome il ladro si annidi fra la gente per bene.In poche parole Leblanc invece di raccontare le origini del personaggio si diverte a parlarne come se il lettore ben conoscesse le sue imprese. (Proprio come fa Hornung col suo Raffles). Comincia a citare avventure passate come se fossero ben note a tutti, così come celebri sono i fantomatici tentativi del vecchio ispettore Ganimard («il nostro migliore poliziotto») di acciuffare il criminale giungendo persino ad un «duello mortale». Con malcelato divertimento l’autore si lancia in racconti improbabili che riguardano il ladro che si dedica a svaligiare soltanto castelli e salotti, «e che una notte in cui era entrato dal barone Schormann, ne era uscito a mani vuote lasciando il suo biglietto da visita, su cui aveva scritto la frase seguente: “Arsène Lupin, ladro gentiluomo, tornerà quando i mobili saranno autentici”».Con questo strano connubio di inglese e francese, gentleman-cambrioleur, nato solamente quando i racconti sono stati raccolti in volume nel 1907 – e sicuramente debitore del maître cambrioleur Raffles e dell’élégant cambrioleur Lebeau – Leblanc tiene a battesimo il suo mito Arsène Lupin.

        

Tenendo fede alla richiesta di Lafitte, cioè di scrivere un racconto alla Sherlock Holmes, Leblanc si lancia nella più pura deduzione: sebbene il messaggio sia monco, quanti viaggiatori biondi di prima classe hanno il cognome che inizia per R? Il gioco è fatto. Ma Leblanc non resiste a prendere un po’ in giro la logica d’acciaio del personaggio inglese, così il viaggiatore accusato di essere Lupin mascherato, biondo e con il cognome che inizia per R, prende la parola e si lancia nell’apoteosi del ragionamento deduttivo: «Visti il mio nome, la mia qualità di viaggiatore isolato e il colore dei miei capelli, ho già iniziato un’inchiesta analoga e sono arrivato allo stesso risultato. Sono dunque del parere che mi arrestino».

Insomma, sin dal primo racconto Leblanc fa capire che non ha alcuna intenzione di prendere sul serio l’eredità di Conan Doyle.