Nel 1897 veniva pubblicato The Invisible Man (L’uomo invisibile) di Herbert George Wells, un romanzo di fantascienza che, insieme ad altre conosciutissime opere dello scrittore britannico, quali La macchina del tempo, L’isola del dottor Moreau e La guerra dei mondi, contribuì a renderlo famoso come il “padre della fantascienza”.

Protagonista della storia è Griffin, un ambizioso scienziato con il sogno di compiere una scoperta tale da renderlo ricco e, soprattutto, da permettergli di conquistare la notorietà e il rispetto che pensa di meritare per la sua grande intelligenza. E in effetti Griffin compie un’incredibile scoperta, nel momento in cui riesce a sviluppare un siero capace di rendere invisibili i corpi. Dopo un esperimento su un gatto, Griffin prova il siero su se stesso, diventando quindi l’uomo invisibile. A questo punto, però, lo scienziato non è più in grado di invertire il processo e tornare come prima.

L’invisibilità presenta problemi che Griffin non aveva previsto e lo scienziato è costretto a rifugiarsi in una cittadina di campagna, dove prosegue con i suoi esperimenti nella speranza di trovare un modo per tornare visibile. Viene tuttavia scoperto dagli spaventati abitanti del posto, che lo costringono alla fuga.

Rendendosi gradualmente conto dei vantaggi offerti dalla sua particolare situazione, Griffin decide di instaurare un regno del terrore in cui lui possa dominare la comunità umana come una sorta di dio spietato e invisibile.

Il personaggio di Griffin ha ispirato un’innumerevole serie di scienziati folli (e invisibili) di molti film, più o meno conosciuti, instaurando una tradizione a parte all’interno del genere horror. La prima trasposizione cinematografica dell’opera di Wells, rappresentata dal film L’uomo invisibile del 1933, diretto da James Whale, ottenne grande successo e diede il via alla creazione di diversi seguiti e remake.

Sebbene piuttosto fedele al romanzo, la trama del film presenta qualche differenza. Innanzitutto, mentre nel libro Griffin rimane dall’inizio alla fine un personaggio solitario e misterioso, senza nemmeno un amico, il protagonista del film ha invece una fidanzata, la bella Flora, la cui presenza gioca un ruolo molto importante nella vita e nelle scellerate scelte dello scienziato. Questo contribuisce a rendere un po’ più umano il personaggio di Griffin, che, all’inizio del film, dedica anima e corpo alle sue ricerche nella speranza di compiere una grande scoperta che lo renderà un marito degno della sua amata Flora. E mentre nel romanzo i semi della follia sono già presenti nella mente del giovane Griffin, prima ancora della sua “trasformazione”, nel film la pazzia e le manie d’onnipotenza dello scienziato non sono che un effetto collaterale del siero dell’invisibilità.

L’uomo invisibile, prodotto dalla Universal Pictures, divenne uno degli horror di maggior successo di quegli anni e Whale ricevette un premio speciale alla Mostra internazionale del cinema di Venezia per quest’opera. Anche la carriera dell’attore Claude Rains, che interpretò il ruolo di Griffin, ottenne grande slancio dopo l’uscita del film. Ma fra gli elementi che più contribuirono al successo de L’uomo invisibile troviamo, più che la performance degli attori, l’uso di effetti speciali considerati davvero innovativi per l’epoca.

Il trucco utilizzato per girare le scene in cui l’uomo invisibile aveva parte del proprio vestiario addosso, o si stava spogliando per non essere più rintracciabile dai suoi avversari, consisteva nel filmare Rains con indosso una tuta di velluto nero su uno sfondo nero. La tuta copriva interamente il corpo dell’attore, compreso il volto. In seguito veniva ripreso il set senza la presenza di Rains e infine le due riprese venivano combinate grazie a una particolare tecnica molto usata in ambito cinematografico e definita matte painting. Poiché anche il volto di Rains doveva essere coperto, durante questo tipo di riprese venne usato una sorta di elmetto che permetteva all’attore di respirare attraverso dei tubi nascosti sotto la sua tuta e che passavano lungo le sue gambe per consentire all’aria esterna di entrare. Questo procedimento non fu molto apprezzato da Rains, che purtroppo era claustrofobico. Al suo posto venne quindi utilizzata spesso una controfigura, un po’ più bassa dell’attore.

Infine, poiché la parte finale delle avventure di Griffin si svolge in un paesaggio innevato, fu necessario trovare un modo per ricreare l’effetto di orme nella neve provocate da piedi invisibili. A questo fine furono realizzate delle porzioni di pavimento a forma di piede abbassabili a comando, che diedero al pubblico l’impressione di un essere invisibile che camminava veramente nella neve. L’unico difetto osservato da qualche critico sta nel fatto che tali impronte fossero quelle lasciate da scarpe, mentre Griffin in quel momento avrebbe dovuto avere i piedi nudi.

Dal primo film del 1933 tantissimi remake si sono susseguiti, e ben pochi sono riusciti a ottenere particolare successo di critica e di pubblico. Quest’anno ha fatto la propria comparsa una nuova versione de L’uomo invisibile, diretta da Leigh Whannell, dalla quale lo spettatore più attento potrebbe cogliere diversi aspetti della lunga e graduale evoluzione della famosa storia di Wells.

Anche qui Griffin è uno scienziato brillante, pieno di sé… e violento nei confronti della moglie Cecilia. Come già accaduto nell’ultimo adattamento cinematografico del romanzo di Wells, L’uomo senza ombra del 2000, al centro della vicenda non vi è più Griffin, bensì la sua compagna.

All’inizio del film Cecilia riesce a fuggire dal suo pericoloso partner, ma il pensiero che lui possa trovarla e fargliela pagare perseguita la donna. L’incubo sembra concludersi finalmente con l’annuncio della morte di Griffin, suicidatosi dopo essere stato abbandonato dalla “sua” Cecilia, la quale eredita da lui anche un invidiabile patrimonio. Ma la pace non dura a lungo, perché un’entità invisibile inizia a perseguitare la donna, spingendola sulla soglia della follia e diventando un pericolo anche per i suoi cari, che non credono alla storia di Griffin tornato in qualche modo per punirla…

Riprendendo un aspetto molto importante del romanzo di Wells, anche qui con il procedere della storia l’atmosfera si fa sempre più angosciante e violenta, partendo dall’irrazionale (ma umanissimo) timore di essere perennemente osservati da occhi invisibili fino ad arrivare alla più concreta paura di essere aggrediti, feriti e uccisi da un nemico che non riusciamo a vedere, in un graduale climax capace di tenere anche gli spettatori più impavidi con il fiato sospeso.

Una fondamentale chiave di lettura del film è ovviamente la figura di Cecilia. A rendere evidente la sempre maggior importanza data alla presenza femminile all’interno della storia dell’uomo invisibile è, forse ancor più che la trama del film, la scelta sicuramente non casuale dell’attrice protagonista: niente meno che Elisabeth Moss, resa famosa con la serie The Handmaid's Tale, ambientata in un futuro distopico in cui le donne, e in particolare le “Ancelle” (le poche donne ancora fertili del pianeta), sono sottomesse a una brutale dittatura misogina. La serie, così come il romanzo su cui si basa, Il racconto dell’ancella dell’autrice canadese Margaret Atwood, sono considerati due opere di grande impatto nel contesto della continua lotta per l’emancipazione delle donne nel mondo e contro la società tuttora prevalentemente maschilista che opprime ancora oggi la maggior parte della popolazione femminile.

Il volto di Moss è dunque un simbolo e particolarmente significativa è la sua presenza all’interno dell’ultimo L’uomo invisibile.