Chissà come resterebbe male, quantomeno imbarazzato, Richard Austin Freeman, autore di quella gemma della letteratura poliziesca che era, è e sempre sarà L'impronta scarlatta , nona uscita della collana I grandi maestri del giallo che i lettori de Il Messaggero potranno trovare domani in edicola allegato al giornale, se rileggesse quanto scrisse nel saggio The art of detective stories pubblicato dalla rivista The Nineteenth Century nel 1924 quando ebbe ad affermare che «a giudicare dalle lettere che di tanto in tanto ricevo l'appassionato per eccellenza di romanzi polizieschi è l'ecclesiastico colto, dedito agli studi o l'avvocato o il professore». Certo rimarrebbe piacevolmente stupito sapendo che negli ultimi anni in Inghilterra una giovane e intraprendente casa editrice che pubblica solo polizieschi d'annata, la House of Stratus , ha fatto le sue fortune ripubblicando proprio tutte le sue opere. Sia quelle che hanno per protagonista il magistrale medico legale John Thorndyke che quelle con al centro R omney Pringle e quindi Danby Croker. L'impronta scarlatta venne pubblicata nel 1907 ma Austin Freeman, dottore - si laureò alla Middlesex Hospital medical College - come il suo massimo ispiratore Sir Arthur Conan Doyle, era noto ai lettori sin dal 1902 quando, con il nom de plume di Clifford Ashdown, aveva con successo dato alle stampe Le avventure di Romney Pringle , simpatico quanto spregiudicato mascalzone che andava quasi rifacendo il verso all'Arsenio Lupin di Maurice Leblanc e anticipava i furti con elegante destrezza del Raffles di E. W. Hornung che l'aveva lanciato come contraltare al personaggio universalmente più noto, Sherlock Holmes, creato dal cognato Conan Doyle. E certo a quest'ultimo, e alle metodologie scientifiche di Holmes, si ispirò Austin Freeman - nato a Londra, nel popolare quartiere di Soho, nel 1862 e morto nel 1943 - dato che il dottor Thorndyke è universalmente riconosciuto come il primo e più importante investigatore scientifico, colui che i delitti, d'ogni tipo, li risolve sì col cervello ma in un ben attrezzato laboratorio. E con l'ausilio non di uno bensì di due Watson, gli amici Jervis, aiutante e biografo, e Polton, assistente di laboratorio e maggiordomo. Di cosa tratta L'impronta scarlatta ? Di un furto di diamanti. Tutto qui? Beh, aggiungeteci che le pietre preziose erano ben chiuse in un cassaforte ultimo modello piazzata nello studio, supersicuro, di un noto legale e che a controllare il tutto c'era un, si presume, servizio di polizia e capirete perché il derubato, John Hornby, deve ricorrere all'acume investigativo-scientifico del dottor Thorndyke. Che non fallirà E' indubbio che nel suo personaggio più noto Austin Freeman trasfigurò, come accaduto in precedenza a Conan Doyle, uno degli insegnanti della facoltà di medicina londinese dove si laureò prima di trasferirsi in Africa, dove trasse spunto per alcuni suoi libri anche non polizieschi, e quindi, causa una grave malattia là contratta, tornare in Inghilterra dove alternò lo scrivere all'esercizio della professione medica: sicuramente contribuì molto all'approfondita conoscenza dei metodi d'indagine e giudiziari il periodo che trascorse nel terribile carcere di Holloway, dove crimine e criminali trattò quotidianamente. «Il romanzo poliziesco è un gioco intellettuale: anzi, uno sport addirittura» ebbe a dichiarare Willard Huntington Wright, alias S.S. Van Dine autore de L'enigma dell'alfiere che I grandi maestri del giallo ha inaugurato. E Austin Freeman ribadì il concetto affermando che il romanzo poliziesco "a sensazione" era «prodotto scadente, inventato dagli scrittori meno dotati per i lettori più sprovveduti». Con queste illustri premesse mettete in funzione il cervello e cercate di saperne di più su L'impronta scarlatta prima dell'infallibile, godibile dottor Thorndyke.