L’impronta del gatto di Augusto De Angelis, Mondadori 2021.

Milano, anni Trenta, cortile di un popolare caseggiato in piazza del Carmine. Primo punto. “C’era un uomo disteso a terra, proprio a sbarrargli il passo. Non pensò nemmeno un istante che potesse trattarsi di un ubriaco, perché aveva veduto qualcosa di rosso che gli rigava il volto. L’uomo stava supino e il sangue gli era uscito da un foro nero in mezzo alla fronte, e gli era colato fin sul petto.” Verremo a sapere in seguito che trattasi di Dan (Daniele) Seminari giovane miliardario venezuelano. Poiché il ritrovamento è stato fatto dal componente di un gruppo coinvolto nel gioco d’azzardo clandestino, viene deciso di spostarlo subito vicino all’abitazione della vittima.

Secondo punto. Un gatto, ovvero Satana, appartenente all’avvocato Vercelloni, vero adoratore di questi felini (ne ha sette) rientra in casa con le zampette sporche di sangue. Siccome l’avvocato è pure amico del commissario De Vincenzi dallo sguardo penetrante e nello stesso tempo stanco e malinconico, allora il caso è tutto suo. E, come al solito, c’è lo zampino del Caso, questa volta con la C maiuscola, a venire incontro al Nostro, perché dal portafogli del morto esce fuori una foto di Loïs Burlington che aveva chiesto aiuto all’avvocato Vercelloni per fuggire dall’ abitazione del gangster Paolo Tabor, suo padre adottivo e nemico dei Seminari. Dunque il delitto potrebbe essere avvenuto proprio “nella casa dell’americano, vale a dire in quello sterminato casamento dell’avvocato dei gatti. Benedette le impronte di Satana!”

Parlando di gatti, ecco dunque una bella gatta da pelare per De Vincenzi che conduce le indagini con il solito metodo, attraverso gli appunti, “affidandosi all’intuizione e cogliendo le occasioni del momento” anche con l’aiuto dei suoi sottoposti. Importante il passato della famiglia Seminari (piuttosto particolare con un pazzo ed uno appassionato dell’epica) dedita alla pirateria che si era trasferita a Milano per evitare una vendetta, come dimostrano certe lettere minatorie spedite al capo don Viciente. E la minaccia si trasforma ancora in un altro morto avvelenato proprio nella loro casa. Chi può essere l’assassino? I due omicidi sono collegati fra loro? E’ il nemico giurato Paolo Tabor?  Forse la stessa Loïs che non voleva sposare Dan, come le era stato imposto, ed amava un altro? O sempre qualcuno della famiglia? Dubbi, assilli, ripensamenti, continui colloqui con tutti, e allora notizie importanti dal maggiordomo di don Viciente e dalla portinaia del caseggiato di Paolo Tabor. Ecco piano piano che il velo si squarcia. Occorre un trucco, un’esca per smascherare l’omicida…

Merito del Caso, come sottolinea lo stesso commissario al termine della vicenda, oppure merito dell’investigatore, secondo l’avvocato Vercelloni, capace di “far scaturire la verità dagli elementi psicologici del delitto”? Vedete un po’ voi.

Sempre un piacere leggere Augusto De Angelis perseguitato dal regime fascista, morto per una aggressione e considerato il padre del giallo italiano. Sua prosa lineare, precisa, mai sovrabbondante, a delineare con pochi tocchi sapienti un personaggio, un ambiente, un’atmosfera. A creare un impasto di osservazioni e sensazioni che entrano leggere nell’animo del lettore, con qualche spunto sorridente di bonaria ironia (vedi, per esempio, i nomignoli affibbiati a certi personaggi) insieme a momenti di forte pathos. Sempre un piacere leggere Augusto De Angelis.