Con il titolo Sovrannaturale Watson! Sherlock Holmes e il caso Dio, è uscito nel corso del 2003 un libro che certamente ha destato la curiosità di molti appassionati. Edito dalla Ancora Editrice di Milano, in una lussuosa veste di 178 pagine, con tanto di copertina in cartone e sovraccoperta ritraenti Basil Rarthbone e Nigel Bruce dal film del 1939 Il mastino dei Baskervile, il libro, opera di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, esula dai testi tradizionali. Il principio sul quale si fonda il testo è che è possibile rileggere e interpretare i racconti del canone alla luce del Vangelo. In questo contesto sono stati scelti cinque racconti che sono L’interprete greco, La faccia Gialla, La faccia punteggiata (noto ai più come La banda maculata), Il trattato navale e Il problema finale. Al termine di ogni racconto gli autori si alternano a descrivere quanto possa essere ragionevole un mistero, ma anche quanto la ragione possa essere molto misteriosa, quando al centro dell’indagine vi sta il Creatore. Per approfondire l’argomento abbiamo intervistato uno dei due autori, Alessandro Gnocchi.

Soprannaturale, Watson! è un libro piuttosto atipico nel panorama dei testi dedicati a Sherlock Holmes. In genere abbiamo ristampe del canone o produzioni di apocrifi, oppure ancora saggi d’approfondimento. Come è nata, invece, l’idea di pubblicare cinque racconti del canone, con tanto di studio interpretativo alla luce del Vangelo?

Il libro è atipico per due motivi. Il primo è spiegato dalla collana in cui è stato pubblicato, che si chiama Riletture, diretta da noi (N.d.r. Mario Palmaro è il coautore del libro) per Ancora. Lo scopo di Riletture è quello di “rileggere” opere letterarie di grandissima diffusione alla luce del Vangelo, usando proprio la struttura che si trova anche in Soprannaturale, Watson!: un brano di Vangelo, un brano letterario, un commento che li unisce. Dopo due volumi su Don Camillo, uno su Pinocchio, ci sembrava che Holmes fosse il personaggio giusto per esplorare un terreno nuovo. Il secondo motivo è la sfida di misurarsi con un’opera apparentemente molto lontana dai temi religiosi. Sherlock Holmes, il principe degli investigatori razionalisti, sembrerebbe irridere da lontananze siderali le tematiche evangeliche. Noi, però, pensiamo che l’impiego rigoroso della ragione sia una delle caratteristiche tipiche della dottrina cattolica. Quindi, riteniamo che gli schemi mentali di Holmes siano quanto mai affini a quelli di qualunque cercatore di verità votato alla metafisica. In questa direzione, pensiamo sia molto più utile fidarsi di un razionalista che crede nella ragione, piuttosto che di un credente che non crede nel mistero.

Le parti d’approfondimento che avete scritto dimostrano una notevole conoscenza del detective londinese e del suo creatore Sir Arthur Conan Doyle. Una conoscenza che difficilmente nasce da poche letture sherlockiane, ma piuttosto da una grande passione. Quando è nato in voi l’interesse per l’universo vittoriano che circonda le avventure di Sherlock Holmes e più nello specifico l’interesse sullo stesso detective, dal carattere così eccentrico e a volte poco socievole.

L’interesse per Sherlock è nato con le prime letture. Questo genere di letteratura è fatto per crescere con il tempo. Molti la definiscono popolare pensando di sminuirla, invece non le si potrebbe trovare aggettivo più nobile. Holmes, come gli altri personaggi che abbiamo affrontato, e che affronteremo, in questa collana è una creatura che entra in confidenza con il lettore, che fa compagnia. Incontrarlo, vuol dire cercare di conoscerlo sempre più a fondo, entrare nel suo mondo.

Nel vostro libro la figura di Sherlock Holmes viene identificata con quella di Gesù, che inceppa il meccanismo vittimario. L’analogia nasce dagli eventi che accadono nel racconto Il problema finale, in cui Moriarty rappresenterebbe Satana. Come nel Vangelo, Holmes dopo la morte nelle cascate di Reichenbach — che possiamo paragonare alla crocifissione di Gesù — risorge. Secondo questa rilettura, pensate che Conan Doyle avesse intrinsecamente considerato questo paragone fin da subito, oppure si sia trattato di pura casualità? Dopotutto Il problema finale era nato proprio perché Doyle voleva veramente sbarazzarsi della sua creatura, per essere riconosciuto come l’autore dei suoi testi storici e non per l’inventore di Holmes. In questo senso il Creatore non ha mai pensato di eliminare Gesù...

L’identificazione è assolutamente arbitraria. Conan Doyle non pensava certo a paragonare il suo investigatore a Gesù. Ma è proprio questo il senso dell’operazione. Noi non vogliamo dare la patente di cattolico a nessuno. Riteniamo soltanto che laddove vi sia vera letteratura, questa sia anche letteratura sincera e rifletta sinceramente sull’uomo. E che qualsiasi strumento artistico possa essere applicato alla conoscenza di qualsiasi aspetto del vivere umano, anche della sua esigenza di eterno. Questo, indipendentemente da come lo può aver usato il suo inventore. Con Sherlock Holmes, il nostro ragionamento è stato semplice: se un investigatore può risolvere i misteri agitati dagli uomini, perché non usare i suoi strumenti per affrontare il mistero divino? Diciamo che ci siamo presi in prestito la grande abilità di Holmes. Più che un caso di superbia, ci pare un chiaro caso di umiltà.

Il vostro lavoro di analisi si fermerà a questi cinque racconti del canone o proseguirà, in quest’ottica, anche con le rimanenti opere di Doyle? E ammesso che non vi siano in previsioni altri libri, pensate comunque vi siano altre avventure del canone che meritino l’accostamento con quanto accade nel Vangelo?

Non sarà a brevissimo termine, ma sicuramente prenderemo in esame Uno studio in rosso.

Torniamo ai racconti che avete preso in considerazione. In L’interprete greco si parla (nella disamina di Gnocchi) del linguaggio di Holmes e lo si paragona alla musica jazz, dove spesso s’improvvisa pur stabilendo precisi turni di “conversazione”. Il passaggio successivo parla del tema della salvezza e della fede, basandosi sulla semplice sintonia della conversazione tra Holmes e il fratello Mycroft. Non vi sembra, a questo proposito, che qualsiasi opera narrativa che parta da una conversazione analitica similare possa pregiarsi dello stesso risultato?