Questa volta ho deciso di parlare a ruota libera senza un argomento predefinito. Quello che viene viene. Così, a braccio. E senza star troppo dietro alla fine dicitura e alla grammatica. Che poi viene anche meglio. Dunque, vediamo…Ma sì, Faletti! Te lo ritrovi dappertutto, in tutti i cinquemila canali satellitari con la sua barbetta ben curata e il sorriso accattivante a presentare il suo nuovo libro. Con quell’aria di falsa modestia che circola sulle facce di quelli che hanno venduto milionate di copie e ne vogliono vendere (giustamente) ancora. Qualche volta ho paura di trovarmelo perfino al gabinetto che mi legge l’incipit per convincermi a far parte della schiera dei suoi aficionados. Ma io resisto come ho resistito per il “Codice da Vinci” di Dan Brown che ho fatto leggere a mio figlio. Scelgo “a peso” e se vedo un malloppone di quattrocento pagine mi viene un attacco di panico. Non tutti i giallisti sono Tolstoj e nemmeno Omero, e anche lui qualche volta sonnecchiava secondo il noto parere di Quintiliano (se ricordo bene).

Che confusione! Parlo delle riviste (fatte le debite eccezioni) dedicate al giallo-thriller-noir. Un impasto di fantasia e realtà, di arte, cinema e letteratura versato nel calderone dell’horror (inteso nel senso più generico) e servito bollente al lettore con il rischio che gli si bruci la lingua o che, peggio, gli vada di traverso. Il fatto, poi, è che molti articoli sono seri, rigidi, impettiti come uno squadrone di cavalleria che deve essere passato in rassegna dal generale. Oppure, se trattasi di interviste, sdolcinate come le ragazzine colpite per la prima volta da Cupìdo. Rari gli articoli ironici e spumeggianti, di fatto inesistenti quelli, non dico al veleno, ma neppure robustamente critici. Lo stile, fatte ancora una volta le debite eccezioni, è precisino precisino, pulitino pulitino senza uno sbaffo di metafora. Spocchiosetto spocchiosetto. Sembra quasi che il giallo-thriller-noir sia diventato una specie di idolo sacrale sul quale non bisogna fare battute. E’ ormai in buona parte autoreferenziale. Notate le recensioni. Tutte belle, tutte lustre pronte per andare alla festa. E sì che un discreto nocchino sulla testa (tanto per fare rima), secondo una espressione usuale dalle nostre parti, ci vorrebbe per i molti, troppi autori che dovrebbero andare alla striglia come consigliava un noto poeta a chi poeta non era. Svegliatevi!

Da “L’Amaca” di martedì 17 ottobre di Michele Serra “Pur se mirabilmente descritto da Natalia Aspesi (Repubblica) escludo di andare a vedere “The departed”, il nuovo capolavoro di Martin Scorsese. Ho come l’impressione, infatti, di avere ampiamente pagato il mio tributo di spettatore alle sparatorie, ai gangsters, ai fiotti di sangue, ai buchi in testa, agli occhi che strabuzzano e all’intera, interminabile epopea del cinema noir americano. Facendo un po’ di calcoli, è più o meno da quando ho dieci anni di età che il sibilo delle pallottole e le urla dei moribondi, su piccolo e grande schermo accompagnano il mio percorso quotidiano. E poiché non sono un alpino della prima guerra mondiale, direi che può bastare. Tutto sommato”. Sottoscrivo in pieno per quanto riguarda certi giallastri (l’ho già detto ma lo ripeto) antichi e moderni che fanno del sangue, dello sperma e delle feci il loro punto di forza.

Ho letto “Quando il rosso è nero” di Qiu Xialong, della Marsilio editore 2006. Qui c’è Chen, ispettore capo di Shanghai, momentaneamente in congedo per avere accettato l’allettante offerta di una traduzione. Una scrittrice dissidente Yin Lige viene uccisa soffocata nel vicolo del Giardino del Tesoro. Il caso è affidato al suo vice Yu che indaga in ambienti ben diversi dallo scintillio dei palazzi dei nuovi ricchi. Con l’intento di studiare uno stile architettonico degli anni trenta Chen trova la scusa per andare nei luoghi del delitto e dare una svolta alle indagini. Questo in sintesi. Il personaggio è così così e certo non innamora. Intanto è single, molto attaccato alla madre malata e bisognosa di cure. Rabbrividisce al pensiero di quelli che si rifiutano di pagare le spese ospedaliere per i genitori. E questo gli fa onore. Laureato in lingue straniere all’Università di Pechino forse sarebbe diventato anche lui uno scrittore dissidente se non gli avessero affidato un incarico nella polizia di Shanghai. Per lui troppe riunioni politiche, troppe scartoffie di partito, troppi poliziotti coinvolti in casi poco chiari. Sempre in attività dato che “non era un uomo che poteva rilassarsi senza fare nulla”, scrive poesie ed è un vero esperto di cucina. In questo mi ricorda l’eunuco Yashim Togalu, personaggio principale de “L’albero dei giannizzeri” di Jason Goodwin. Nonostante l’influenza di suo padre non gli piace il confucianesimo perché crede che abbia creato problemi alla società cinese. Fuma, beve caffè ed è attirato dal roast beef e dalle focaccine. E’ anche attratto dalla segretaria “Nuovola Bianca” ma non combina nulla. Altro personaggio Shanghai divisa in due: la città dei bassifondi, quella dei poveri, e la città nuova dei grandi palazzi e grattacieli, quella dei ricchi. Un po’ invadente la Storia, con la S maiuscola che appesantisce  il racconto. Passabile.

“L’assalto delle lesbiche” potrebbe essere il titolo di un mio nuovo articolo. Niente provocazione né offesa per nessuno. Nella nostra società c’è posto per tutti. Definisce solo un dato di fatto. Che nella letteratura gialla detective in gonnella-pantalone stanno montando come una piccola marea. E che tra queste una parte sempre più rilevante si distingue per una attrazione verso persone dello stesso sesso. Me ne rendo conto dalla ricerca che sto svolgendo sul mondo femminile nella detection. Prendiamo, per esempio, Sandra Scopettone, nome italiano ma pura figlia di New York. Per prima ha creato Lauren Laurano una detective privata ex agente federale di trentacinque anni, che non arriva al metro e sessanta ma carina lo stesso, con la fobia per gli insetti ed un istintivo ribrezzo per il sangue. Va pazza per la cioccolata e le altre ragazze. Una lesbica dichiarata, come la stessa autrice. E poi ricordo, en passant, la Saz Martin di Stella Duffy (protagonista di “Carne fresca”, Marsilio 2006 sul quale ho già espresso un giudizio negativo ma prometto di ritornarci sopra) e

la Vanessa Tullera che viene apertamente sottolineato perfino nel titolo “Boody art. Il ritorno della lesbocommissaria” di Pablo Echaurren, Editore Fernandel 2006. Tanto per citarne un paio.

E qui chiudo.

P.S. Nell’articolo “Il trio Macdonald!” alla fine mi rammaricavo per non essermi ricordato di un libro di John D. MacDonald che avevo letto nelle mie scorribande giovanili. Ringrazio Lia Volpatti e Gianfranco Orsi per avermelo riportato alla mente con il loro libro “C’era una volta il giallo II- L’età del piombo” pubblicato or ora dalla Alacran edizioni.

 

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