Ogni tanto è bene ritornare ai classici di un tempo che fu. La talpa di Margery Allingham, classici del giallo Mondadori 2007.

“L’avventura che sto per raccontare è accaduta a me, Albert Campion, e sono certo di essermi comportato nella maniera più brillante, benché abbia corso il rischio di venire ammazzato…Cominciò mentre stavo facendo colazione.” R.I. Peters, detto  il Babirussa, suo ex compagno di college, muore. Al tempo stesso, Campion riceve una lettera anonima in cui si parla del defunto e di una misteriosa “talpa”. L’investigatore dilettante partecipa alle esequie di Peters, ma cinque mesi dopo la polizia chiede il suo aiuto per risolvere

il caso di un’altra morte sospetta. E il cadavere è quello del Babirussa…”.

Quindi due Babirussa morti ammazzati (del primo lo si verrà a sapere più tardi),

il secondo conosciuto con il nome di Harris il cui corpo scompare; strane lettere anonime inviate a Campion in cui si fa cenno ad una “talpa”; l’arrivo improvviso della fidanzata del secondo Babirussa, e poi uno spaventapasseri che non è uno spaventapasseri ma un uomo anch’egli morto ammazzato, e ancora veleni e altri intrecci degni di Margery Allingham.

Albert Campion ficca il naso dappertutto come gli fa notare Lugg, suo domestico “un magnifico miscuglio di ingegnosità e di coraggio fuori luogo”. Ha “l’aspetto di un soldataccio travestito da borghese”. Ancora da Lugg “Lei si sta dando tante di quelle arie col suo “

lasciatemi-stare-perché-sono-intelligente” che mi urta i nervi”.

Ricordi di Campion quando era al college con Babirussa “Gran bravi ragazzi, eravamo, di una bontà esemplare: una volta il Babirussa mi tolse dal petto cinque centimetri quadrati di pelle con un temperino arrugginito, per marcarmi come uno schiavo. Piansi disperatamente, poi gli diedi un calcio nel ventre e, e allora lui mi mise su un becco a gas, non acceso, s’intende, finché non rimasi quasi asfissiato”. Era un “ragazzino con i capelli chiarissimi, lisci e morbidi, e un paio di occhialini”. Ironico. Di fronte al corpo di Babirussa “Provavo un senso di compassione, ma pensai che lui aveva conservato le sue antiche tendenze a procurare fastidi”. Per natura calmo come ci fa sapere lui stesso. Così come lui stesso ci fornisce

il suo metodo di indagine “Purtroppo non sono come quei cani che scovano la selvaggina al fiuto;  la mia mente non lavora come una macchina calcolatrice che prende i fattori a uno a uno mentre compie il suo lavoro. Io assomiglio piuttosto a quei tipi che vanno in giro con

il sacco e  il bastone per frugare dappertutto. Raccolgo tutte le cianfrusaglie che trovo, e quando torno a casa per fare colazione vuoto il mio bottino e lo riordino”. Si ferma ogni tanto a riflettere su quei momenti per riconoscere i suoi errori di valutazione. Quando sta per decidere di non proseguire le indagini avviene un fatto inatteso che gli fa cambiare idea. Il massimo della rabbia “Taccia!- le intimai più bruscamente di quanto avessi voluto”. E quando si impaurisce si impaurisce davvero “Rimasi immobile per un istante, in preda a tutti i ridicoli timori dell’infanzia” e il cuore gli batte forte. In seguito “Pensai alla profonda oscurità che ci circondava, ai prati, ai fossati neri, ed ebbi paura”. Simpatia per Poppy, una locandiera sopra la cinquantina con gli occhi azzurri, la bocca grande “e una corona di folti riccioli grigi”.

Il primo libro in cui compare Alber Campion è Crime at Black Dudley del 1929 e qui il nostro non è ancora il detective privato che abbiamo conosciuto ma uno che cerca di sopravvivere con ogni mezzo. Anche illecito, senza esagerare. Un po’ furbetto e finto tonto tanto da essere considerato a prima vista “pazzo” e “inoffensivo”. Poi mette la testa a posto e vive con questo Lugg (il nome è troppo difficile) anche lui con trascorsi poco nobili (ex scassinatore), piazzandosi proprio sopra ad una stazione di polizia nei pressi di Piccadilly Lane, in modo da offrire i suoi servigi come consulente a Scotland Yard. E ci riesce piuttosto bene.

Prosa gradevole, spigliata, ironica tipica di quasi tutti gli autori del gentil sesso (come si diceva una volta) questa di Margery Allingham che già a sette anni sferruzzava gradevolmente con la penna. E continuò a sferruzzare gradevolmente per tutta

la vita.

 

Sito dell’autore www.libridiscacchi.135.it