14 febbraio di ogni anno si festeggia S. Valentino, patrono degli innamorati. A Terni migliaia di coppie ogni anno si giurano eterno amore sulla tomba del Santo venerato in ogni parte del mondo: si sa però che dove c’è festa c’è anche denaro, e così quella che era in principio una cosa dolce e romantica, si è trasformata in un’iniziativa commerciale.

Neanche Piero Alteri è sfuggito all’attrattiva di quella ricorrenza: era il 14 febbraio 1998 ed Alteri (che nella ragione sociale della ditta fondata con Grygor Curto aveva perso la “i” finale) aveva invitato la sua amica Deborah, a passare con lui una bella serata: una bella bionda di venticinque anni, gambe affusolate da mannequin, portamento seducente, un bel seno e per di più un gran bel viso. Veramente aveva anche altre beltà fisiche,ma..Insomma Piero ne era conquistato, e decise che forse quella sera Deborah sarebbe capitolata.

La passò a prendere sotto casa. Avrebbe potuto almeno farsi prestare la macchina, un’ automobile decente, tipo quella Hyunday Coupè Nera che il suo amico Robert sfoggiava quando andava in discoteca, la macchina adatta per “cuccare”.. Ma neanche Robert era in quei paraggi, per cui Piero neanche tanto a malincuore aveva fatto dare una ripulitina alla sua Renault 4, che aveva dotato di sedili ribaltabili ultimo modello. Deborah era incantevole quella sera: una minigonna “ascellare” nera di velluto, le gambe inguainate in calze di seta color “grigio fumo di Londra”, il corpo indossante un bel vestito pure nero ma con le braccia ricoperte da un velo, come pure il gran bel seno; insomma un vestitino da sera, ma abbastanza ardito. E sopra una bella pelliccia, lunga, “di castoro” pensò Piero. Fatto sta che, salita a bordo, Piero avviò la sua rombante auto e si diresse al centro.

Torino in quel fine settimana era tutta ricoperta di neve. Stava nevicando ormai da due giorni, ininterrottamente. Nevicava a larghe falde, a fiocchi che piano piano si ammassavano sulle panchine, sulle auto in sosta, imbiancavano gli alberi, rendevano sdrucciolevoli le strade.

Piero stava percorrendo Corso Vittorio Emanuele II: il frastuono dei clacson, l’assordante rumore di un tram che stava girando, delle sirene in lontananza, tutti rumori che non gli avevan distolto l’attenzione: quando poteva, un segnale rosso ad un semaforo, una fila di macchine davanti a lui, tutto era buono per guardare la sua Deborah di sottecchi. Scattò il verde. Piede sinistro sulla frizione e destro sull’acceleratore, la prima ingranata, la freccia a segnalare che si doveva fermare: ormai quasi più nessuno era così pedante nel rispettare le regole della strada. Ci si sarebbe dovuto fermare ai semafori..ma chi veramente lo faceva con assiduità? E poi la freccia: era quasi diventato un optional mettere la freccia, quasi che consumare un po’ di energia per quella cosa sembrava un’eresia.

Alteri era però diverso. Scese e si avviò alla Pasticceria Peyrano, un nome mitico a Torino, tra i buongustai del cioccolato. Trovò la saracinesca abbassata: “chiusura settimanale” era scritto. E ancora: “per ordini urgenti rivolgersi” e un numero telefonico, oppure altro indirizzo.

 Guardò l’orologio: erano le 21. Aveva pensato di andare a comprare dei cioccolatini. Ed ora ? Calcolò mentalmente. Avrebbe potuto continuare per Corso Vittorio Emanuele II, arrivare sul Ponte sul Po ed andare all’altra sede, in Corso Moncalieri. Ma erano adesso le ore 21: chissà quando sarebbe arrivato oltre il Po. No. L’ipotesi era da accantonare. Vabbè, pazienza. Alteri decise di andare a festeggiare San Valentino in un locale di cui gli avevano parlato, a due passi da Via Roma; per di più neanche tanto lontana da dove si trovava in quel momento. “L’Amour: che bel nome!”, aveva esclamato quando gliel’avevano consigliato. E poi gli avevano detto che era riservato, un locale per coppie, con luci soffuse, un pianoforte che suonava dolcemente, canzoni che rimandavano agli anni ’40 e ’50. Telefonò al numero che gli avevano dato e fu fortunato: riuscì a prenotare un tavolo per due. Mezzora dopo erano seduti ad un tavolo ricoperto di un tovagliato color rosa ed un candela bianca illuminava con la sua fiamma una rosa rossa vermiglia infilata in un elegante e affusolato portafiori di cristallo. L’atmosfera del locale gli piaceva: riservata come gliene avevano parlato. Una decina di tavoli in tutto, e neanche tutti occupati: infatti due erano ancora liberi. In più notò un angolo riservato, chiuso da un tendaggio color rosso fuoco, dietro cui gli disse il maitre vi era un tavolo due sedie ed un divanetto, tipo “dormeuse”, una angolo riservato per coppie che volevano non esser disturbate ed aver un po’ di più di privacy. Ordinò una bella bottiglia di Dom Perignon, ne versò una bella dose nel bicchiere della sua ospite e osservò Deborah portarsi alle labbra il bicchiere e gustar quel fine perlage. Mentre assaporavano delle tartine con del vero Beluga, vide quella tenda aprirsi ed uscire una tipa rossa, piuttosto vistosa. Non ci fece caso; osservò solo che i capelli erano strani. Mah..le donne! E poi cosa avevano? Tutte a fare la fila fuori dal bagno. Come se non ce ne fossero abbastanza: era forse la cosa che dava più all’occhio: ciascuno dei due bagni riservati a uomini e donne, era a sua volta diviso in due sezioni, di tre toilettes l’una: evidentemente, mi dissi, era un locale molto frequentato.