Sabato 23 ottobre a Roma presso la sala del carroccio del Campidoglio si è tenuta la cerimonia di premiazione della 7° edizione del premio nazionale di narrativa gialla inedita "Delitto d'Autore" 2010 organizzato dall' Associazione ACSI. Vincono Cristian Fabbi (tra l'altro collaboratore della rivista su carta Sherlock Magazine) per la sezione romanzi e Katia Brentani per i racconti. La giuria composta da: Prof.ssa Rossana Matteucci, Avv. Franco Pocci, Prof. Maria Antonietta Spanu, Dr. Carlo Taccini e Prof.ssa Daniela Giacometti ha decretato i vincitori e i premiati:

Sezione Romanzo Giallo inedito: 1° premio Cristian Fabbi con "Si muore come mosche, Ognibene" pubblicato in volume dall'ACSI (vedi foto), 2° premio per Matteo Tovazzi con "Quella luce in fondo al lago", 3° premio per Davide Fantozzi con "Le due terre - Terrae nostrae fuerant". Premi speciali a Patrizia Alò, Giorgio Diaz e Gioacchino De' Padova

Sezione Racconto Giallo inedito: 1° premio Katia Brentani con "Per grazia ricevuta", 2° premio Marzia Lucchesi con "Come una ruga sulla Terra", 3° premio Maria Loiaconi con "La Morte in salotto". Premi speciali a: Simona Tassara, Maria F. Mancuso, Alessandro Manzetti, Maria D. Tommasini, Roberta Selan, Patrizia Landucci.

Ed ecco la motivazione della giuria per la scelta nella categoria romanzo, vinta da "Si muore come mosche, Ognibene":

Questo romanzo è una lettura scorrevole, tanto da rappresentare un passatempo invece che un impegno, con una trama interessante che lascia il lettore piacevolmente colpito ed anzi desideroso di proseguire per cercare di capire come evolverà la storia. È vero, bisogna scoprire un assassino, ma questo diventa un pretesto per farci conoscere dei personaggi ed una zona del nord dell'Albania. I personaggi sono ben caratterizzati. I principali sono i tre carabinieri che hanno una loro nitidezza. Infatti Ferretti sembra quello più cinico e meno convinto del suo ruolo di carabiniere, quasi un ribelle agli ordini e alle gerarchie (lo definirei forse addirittura antifascista), che però alla fine fornisce contributi fondamentali sia alla vita della caserma che allo sviluppo delle indagini.

Il gigante Scantamburlo, così legato alla terra ed alla vita contadina, tanto da ricercarla anche in Albania nella mucca da mungere nella fattoria vicina alla caserma, rappresenta la figura buona del militare o del poliziotto che è presente in tante caratterizzazioni del cinema e del romanzo italiano, viene da pensare a Fazio del commissariato di Vigata, che è sempre presente quando c'è da coprire le spalle a Montalbano.

Infine il maresciallo Giovanni Ognibene, che, seppur impacciato ed a volte “fantozziano”, ha l'intuito del poliziotto e forse è l'unico che ha compreso il ruolo e la missione del carabiniere.

Ma la sorpresa vera di questo romanzo è l'Albania. È vero che è un'Albania rurale degli anni '40, tuttavia ci permette di capire un paese che seppur così vicino, per noi sembra lontanissimo. Sicuramente l'autore ha viaggiato molto in quel paese, oppure lo ha studiato a fondo, infatti non solo è ben descritta la geografia, ma anche la cultura e le tradizioni sono rappresentate in questo romanzo con dovizia di particolari. Tutta la serie di regole di vita che sono rappresentate in questo “kanun” vecchio di secoli e che sembrano così distanti dalla nostra epoca, ci fanno riflettere sulle radici di questo popolo, introducendo il lettore in un viaggio che innesca un percorso di conoscenza.