Ogni tanto i romanzi polizieschi mi stuzzicano l’appetito. Tema non principale, ma nemmeno troppo secondario, il cibo. Siamo lì che arzigogoliamo su chi possa essere l’assassino e ci ritroviamo ad un tratto tra forchette e coltelli ad occhieggiare ed annusare come piccoli porcellini. Dopo tutto il detective è una persona come noi, con i suoi istinti e le sue passioni. Tra cui, non ultima, quella della buona tavola. E allora, invitati o non invitati, ci sediamo insieme a lui…

Vado un po’ a caso in qua e là senza un filo ben preciso che mi viene meglio. Non è uno studio particolare, né una ricerca personale. E’ un estrapolare dalle mie letture e da qualche spunto tratto dagli scritti del poeta-giornalista Attilio Lolini che abita proprio al primo piano della mia abitazione (meglio un idraulico ma è andata così).

All’inizio, in verità, furono torte (ai mirtilli, ai lamponi, alle fragoline di bosco…), focaccine, crostate, biscotti fragranti appena tirati fuori dal forno, preparati dalle abili mani della signorina Marple, conditi con rosoli, anisette, millefiori ben disposti su tavole apparecchiate con meravigliose tovaglie ricamate. Tutto lindo e pulito, insomma, e quando arriva il nipote Raymond West tutto sparisce in un batter d’occhio nella sua insaziabile bocchina. Ma la modernità incombe e la vecchia bottega di cestini fatti a mano del signor Tom è stata trasformata in un supermercato, mentre si aggira la voce, terribile, dell’apertura di un terribile negozio: una pizzeria a taglio (mamma mia!).

Sul dolce si butta a pesce Hercule Poirot che va matto per la cioccolata in tazza, la zuppa inglese, i pasticci con la besciamella, gli zabaioni conditi con marsala e vini, sempre dolci si capisce, come lo Xeres, il Porto, il Moscato (un paradiso per i diabetici).

A Philip Marlowe (di palo in frasca) va bene, invece, qualsiasi liquore purché non sia dolce, caffè nero e amaro. Pasti semplici ma più che mangiare fuma. Il fumo è il suo piatto preferito (infilato un po’ a forza).

La palma di esperto in arte culinaria e di instancabile golosità, va assegnata, lo sappiamo, a Nero Wolfe che si avvale di un esperto coi fiocchi come Fritz Brenner, con il quale spesso battibecca per un pizzico in più o in meno di pepe o zafferano. Il cuoco più famoso della letteratura poliziesca possiede ben duecentoottantanove libri di cucina, per lo più rarissimi tra cui un Libro d’Ore che riferisce una ricetta per cucinare l’arrosto di cerbiatto e la frittura del cervello dell’usignolo. Inoltre una serie di pentole antiche fra cui una adoperata addirittura da Giulio Cesare in persona! (ma Wolfe smentisce). Favolose le frittelle mattutine e le salsicce di mezzanotte (così la giornata è completata) la cui ricetta è riuscita ad accaparrarsi in cambio della risoluzione di un caso. Altra idea favolosa è lo stufato d’anatra ripiena di granchi che prevede pure tartufi bianchi freschissimi, scalogno e una droga tibetana. Anche l’insalata brasiliana non è male e comunque chi ne vuole sapere di più acquisti “Le ricette di Nero Wolfe” e le metta in pratica. Archie Goodwin, invece, si accontenta di patatine fritte e bistecche che escono dai distributori già incartate e beve latte che fa inorridire il suo datore di lavoro. Però anche lui ha il suo lato debole: i tortini di riso con il miele (acquolina in bocca).

Piatti ugualmente complicati per l’agente nero della CIA, il principe Malko Linge, creatura dello scrittore e giornalista francese Gerad de Villiers, aristocratico austriaco proprietario di un bel castello che gli costa un occhio ed è costretto a lavorare per l’agenzia americana. In giro per il mondo tra grandi alberghi e ristoranti alla moda si gode insalate d’alghe rosate, stufati di porcospino con mirtilli, arrosto d’iguana con patate lessate in brodo d’armadillo, paté di fegato di ghiro…e insomma avete capito che si casca nel raffinato.

Di gusti più semplici è, invece, il commissario transalpino Maigret che non ama per nulla la cucina sofisticata. Lo scrive papale papale George Simenon, quando lo fa invitare da un amico d’infanzia diventato ricco e decisamente snob “I cibi erano senza dubbio speciali ma Maigret non provava alcun piacere in quei piattini complicati, con salse invariabilmente costellate di tartufi e di code di gamberi”. Sua moglie Louise prepara piatti semplici, tipici della piccola borghesia francese di campagna, tratti da ricette scritte in un quaderno regalatogli dal marito. Naturalmente sono state anche queste frutto di studio e pubblicate. A volte certe pietanze segnano quasi un refrain alla storia come un piatto di cozze con patatine fritte o una torta di riso. Se non è in casa a mangiare spesso lo si trova nei bistrot o nella Brasserie Dauphine con un piatto di cipolla e un “formidable”, praticamente un litrozzo di birra a portata di mano. In ufficio, insieme alla birra, gli basta un gustoso sandwich al prosciutto ma non chiedetegli un assaggio che mette il broncio. Beve aperitivi, il vino bianco fresco e il calvados e, più per compiacere la cognata che per gusto personale, anche un distillato di frutta, la “prunella d’Alsazia”. Poi carica la pipa e viva la vita!

Montalbano segue un po’ le orme del noto transalpino in Sicilia per quanto riguarda il mangiare semplice e genuino ( si sa che Camilleri è un grande fan di Simenon). Lo troviamo spesso da Calogero per la frittura di pesce e gli antipasti di mare oppure, qualche volta, invitato dalla moglie del questore o del preside e anche in trattorie gestite pure da ex delinquenti come Tonino. A casa c’è Adelina che gli prepara “pasta fredda con pomodoro, vasilicò e paassuluna, olive nere”, alici con cipolle e aceto, gamberetti bolliti, peperoni arrosto, polipi affogati, spaghetti al nero di seppia, pasta con broccoli, involtini di tonno, triglie al forno. Insomma, come si vede, il mare viene sfruttato a dovere.

Per restare in tema Sicilia vediamo come se la cava il maresciallo dell’Arma Saverio Bonanno di Roberto Mistretta. Siamo alla sua prima apparizione ne “Il canto dell’upupa”, Cairo 2008. E scrutiamolo un po’ più da vicino questo Saverio Bonanno che non ha la stessa fama di Montalbano. Lasciato dalla moglie vive con la madre donna Alfonsina, la figlia Vanessa e il cane Ringhio. Si sposta con macchina Punto (un po’ di pubblicità alla Fiat fa sempre bene). Abitudinario. Caffè in casa e poi il secondo del mattino lo consuma al bar Excelsior fatto dalle manine “sante” della signora Maruzza, capace di preparare “una cioccolata densa che serviva a farcire i cornetti lasciati a lievitare l’intera nottata. Era marrone, cremosa, profumata” (miezzeca!). Nuova macchina da caffè sul posto di lavoro e giù a “inebriarsi dell’aroma inconfondibile dello scuro di Sicilia, miscela catanese tostata a dovere. Sapeva di lava profumata”. Fuma in continuazione, ottima forchetta (come anticipato), risultato la pancia. Che cosa mangia? “Grosse e tenerissime fettine di vitello, farcite con uova sode, pisellini di campagna, bocconi di pecorino, un filo d’olio, cipolletta tagliata fine e rosmarino”, oppure pasta al forno, coniglio con olive nere, patate con la crosta e doppia razione di cardi impanati con uova di casa, il tutto innaffiato con rosso siculo di Liscialba, o ancora ditali con le lenticchie insaporite con due palmi di cotica, ancora olive, pecorino, funghi di ferula arrostiti e insaporiti con aglio e prezzemolo tritati e amalgamati con olio e aceto e poi un inno alle sarde e via dicendo. A casa preparati da donna Alfonsina o al ristorantino di Za Lisa dove può trovare i “cavateddi”, la pasta antica impastando farina di grano saraceno e acqua fredda. A volte nella sua mente sesso e appetito si fondono in maniera umoristica. Osservando una signora “Con un leggero movimento del bacino, distese il fondoschiena rotondo, Bonanno lo immaginava soffice come un bignè di ricotta e farcì il sedile”. E qui mi fermo…

Dal sud al nord con il commissario Soneri di Valerio Varesi. Il suo preferito è un piatto tipico parmigiano, vale a dire i tortelli. Essi possono essere cucinati nelle tre versioni classiche della tradizione, vale a dire con ripieno di patate, di erbette e ricotta o di zucca. C’è una quarta versione molto rara che si prepara in montagna col ripieno di castagne. Gli altri piatti gustati da Soneri sono gli gnocchi al pomodoro e gli anolini in brodo che rappresentano “una delle poche continuità della sua vita”. Il tutto innaffiato con il buon vino della sua terra (alla salute!).

Si mangia e si beve bene anche seguendo il Tour de France con Gianni, cronista sportivo, in “Giallo su giallo”, Feltrinelli 2007, di Gianni Mura, davvero famoso cronista sportivo nella realtà e incallito buongustaio. Praticamente parla di sé e delle sue preferenze culinarie: panini con rilettes (morbido paté di maiale. Preferisce quelle di Tours e di Le Mans perché più magre), Côtes du Rhône di Jaboulet, e poi sfilza di formaggi: Brie, Camembert, Bleu de Bresse, Roquefort, la Forme d’Ambert, Bleu d’Auvergne, e poi ravanelli, olive nere, burro salato sul pane. Non manca una dissertazione sul cassoulet (il piatto ricco dei poveri) fatto di fagioli bianchi e pezzi di carne. “Solo maiale a Castelnaudary, aggiunta di agnello e pernice rossa a Carcassone, un po’ meno d’agnello e anitra al posto della beccaccia a Tolosa” tanto per riportare le sue stesse parole.

Un peana a William Ledeuil che sui piatti tradizionali (foie gras, lumache, animelle, guancia di vitello) “innesta una vena orientale”, con tamarindo, valanga, curcuma, zenzero fresco e basilico thai. Sul bere ho trovato: caffè, birra, Vittel, Muscadet, Vieux Calvados di Heurteven, Saint Nicolas, Merlot Costières de Nîmes, Riesling, Quetsch, Roquwfort (praticamente una cantina). Per finire una tirata di MS o Galuase, tanto per rendere allegro e spensierato il polmone. Anche nei momenti più dolorosi uno sguardo fugace alla buona tavola, al rognoncino intatto di Dédé e alla salsa di senape che ha formato una specie di velo solido. Se entra in un albergo nota subito “Salsicce affumicate, crauti, stufato di coda di bue”. E ironia “Non ho dormito per il dolore, l’angoscia e anche la fame. Va a finire che torno dimagrito dal Tour, sconcerto generale” (voi ci credete?).

Passiamo ora in Spagna con Pepe Carvalho, creatura di Manuel Vasquez Montalbàn. Riprendo un po’ in qua e là che mi sento pigro. “Ex studente contestatore, ex militante comunista, ex agente della CIA, Carvalho si dedica alle sue indagini in perenne contrasto con le forze dell’ordine “ufficiali” e non si fa certo scrupoli pur di scoprire i colpevoli: non è raro trovarlo ubriaco in qualche bettola o a letto con un’indagata. Di caratteristiche particolari Carvalho ne ha parecchie (è l’amante di una prostituta, vive con un avanzo di galera che gli fa da cuoco e segretario, brucia ogni sera un libro nel camino), ma soprattutto vanta un amore sconfinato per il cibo, che per lui è una vera e propria religione. Benché non sia certo ricco, Carvalho ama i grandi piatti e i grandi vini, e sa apprezzare ogni tipo di cucina, dalla più artigianale a quella dei ristoranti di lusso”.

Preferisce, soprattutto, la nuova cucina: lumache con besciamella alla menta e chicchi di melagrana e come secondo una spallina di capretto con acquavite alle erbe. Cibo come seduzione in “Le ricette di Pepe Carvalho” pubblicate dalla Feltrinelli nel 1994, che raccolgono piatti preparati dal Nostro nei precedenti quattordici volumi. Ricordiamolo anche autore di “Ricette immorali” che molto hanno a che vedere con il sesso (altrimenti la seduzione va a farsi friggere). Carvalho “ha cucinato piatti assurdi ad ore assurde, bevendo quantità spaventose di vini e liquori, e chiudendo il tutto con dei sigari, a volte buoni (Lusitania Pertegaz, Montecristo), e altre volte pessimi (Rey del Mundo, Macanudo). Come tutto nella gastronomia di Carvalho: egli ama accostare alla nouvelle cuisine il peggior vino da tavola, e al piatto piú semplice il bordeaux piú pregiato”. Non male eh…

Più lontano ancora in paesi esotici (si sarebbe detto una volta) Chen Cao di Qiu Xialong, poeta e ispettore di polizia a Shanghai. E’ un personaggio che vive nella contraddizione tra la fedeltà ai vecchi schemi di partito e il desiderio di dare sfogo alla propria individualità. Uomo onesto in conflitto con il nuovo, non sempre onesto appunto, che sta emergendo e dunque costretto a compromessi.

Cibo bello tosto: ravioli con ripieno di germogli di bambù, carne e gamberetti, zuppa di nidi di rondini con orecchie d’albero, ostriche fritte in pastella di uovo strapazzato, anatra ripiena di riso, pesce vivo al vapore con zenzero fresco, cipolle verdi e pepe secco, tartaruga dal guscio molle e chiocciole di fiume. Oppure torta di riso, fritto con maiale, spaghetti ai funghi, sauna di gamberi…

Ci sono anche delle cosettine particolari come la “Testa di Budda”, praticamente una zucca bianca a forma di testa con dentro un passero fritto dentro ad una quaglia alla griglia dentro a un piccione brasato. Una specie di scatola cinese mangereccia. Poesia per l’animo e cibo per lo stomaco.

In India troviamo Vish Puri di Tarquin Hall, cinquantun anni, fisico pienotto, soprannominato “Cicciotto” per la sua propensione verso i cibi grassi che non dovrebbe nemmeno guardare, secondo una raccomandazione del suo medico, data la pressione alta ed il rischio di diabete. Ma lui se ne frega assai e ogni tanto manda qualcuno a comprare qualcosa di proibito come Zerbino, il ragazzo tuttofare, che gli procura “due in voltolini di mortone con extra chutney” (oppure lo vediamo saziato con “papri chat con chutney al tamarindo” ad un chiosco). Li divora stando attento a “non lasciare macchie rivelatrici di grasso”. Che altrimenti si becca una lavata di capo dalla moglie Rumpi (il cui nome è tutto un programma). Tra le cose che beve e mette sotto i denti trovo in qua e là tè e biscotti, scotch, pomodori a fettine, cetrioli e cipolle, niente sale che gli fa male al cuore, (il solito dottor Mohan glielo ha proibito insieme al burro). Ma un po’ di sale con il peperoncino (che coltiva sul tetto) lo mangia lo stesso “Per molta gente, sarebbe stato come toccare piombo fuso con la punta della lingua” (non ho capito il perché della virgola).

In cucina sorveglia con particolare cura la preparazione del “barfi” al pistacchio e del latte dolce allo zafferano, e poi in fondo al libro (“Vish Puri e il caso della domestica scomparsa”, Mondadori 2009) troviamo tutta una serie di stuzzicanti (per gli indiani) prelibatezze: come il “bhang”, bevanda popolare ottenuta mischiando cannabis con mandorle, spezie, latte e zucchero; l’”halva”, dolce fatto con farina, semolino, lenticchie o carote grattugiate, con zucchero e burro chiarificato, ricoperto di mandorle; il “ladu”, palline di farina cotte nello sciroppo di zucchero (una manna per i diabetici); il “lassi”, bevanda di siero di latte dolce o salato, oppure ottenuto dalla frutta come la banana o il mango; il “matthi”, biscotti salati fritti, serviti spesso con il tè; il “panir”, formaggio fresco ottenuto cagliando il latte riscaldato con succo di limone e via discorrendo, fino a farvi venire voglia di una sana spaghettata di qualsiasi tipo.

Cucina profumata (anche troppo!) di spezie varie quella di Yashim Togalu, di Jason Goodwin. Vediamo un po’ più da vicino questo personaggio che opera in Turchia. Yashim Togalu “Era un uomo alto e robusto sulla quarantina, con una gran massa di boccoli neri e qualche filo bianco;niente barba, ma baffi neri ricciuti. Aveva gli zigomi alti da turco e grigi occhi a mandorla di un popolo che viveva millenni sulla grande steppa eurasiatica”. Ha parecchie doti “fascino innato, disposizione per le lingue, e la capacità di sgranare quei suoi occhi grigi all’improvviso. Gli uomini e le donne rimanevano stranamente ipnotizzati dalla sua voce, prima ancora di capire chi stesse parlando. Però non aveva le palle” (e non in senso metaforico). Eunuco, dunque. Parla quando c’è da parlare, cioè quando occorre, altrimenti risponde a gesti, sbatte le palpebre o si stringe nelle spalle. Sensibile, delicato, arrossisce spesso. Sa rendersi invisibile nel senso che la sua presenza è diafana. Sempre pulito ed ordinato, agile e silenzioso. Ottimo cuoco e buongustaio, gli piace il caffè nero, dolce e denso senza spezie. Fuma preparandosi la sigaretta da solo, come gli aveva insegnato un mercante di cavalli albanese “arricciandone una estremità e infilando un pezzetto di carbone dall’altra”. Conduce una vita tranquilla, spesso in gellaba e pantofole. Il suo sogno è di avere un appartamento più grande con una bella biblioteca. I libri sono bene allineati sugli scaffali, i tappeti anatomici sul pavimento. Quando c’è bisogno è veloce nel prendere le decisioni, vedi per esempio quando deve domare un incendio scoppiato vicino alla sua casa. Ha digerito la sua menomazione che lo aveva fatto soffrire. “Era vivo. Bastava questo”. E vince il dolore con il distacco e l’ironia.

Nelle sue storie troviamo il già citato caffè nero privo di spezie con una punta di zucchero, zuppa di trippa senza l’innovazione del coriandolo tritato che l’innovazione porta all’inferno, dolce tè alla menta, in genere pesce e verdura, cipolle, noci, aglio, pane bianco, ciotolina d’olio, qualche seme di sesamo e olive.

E ora basta…che…burp…mi sento pieno!

Sito dell’autore www.libridiscacchi.135.it

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