Teddy era sveglia, quando suo marito rientrò a casa verso le due di notte. Accese la lampada sul comodino e spalancò le braccia a Steve, che andò da lei, la baciò e la tenne stretta per un attimo prima di cominciare a svestirsi. Dall’espressione del suo viso, Teddy capì che qualcosa non andava. Tutto ciò che quell’uomo, suo marito, provava glielo si leggeva in faccia. Aspettò che fosse a letto sdraiato accanto a lei e poi a segni gli domandò: Cosa c’è?
«Pensava che fossi l’anello debole» rispose Carella. Teddy gli stava leggendo le labbra e lui si rese conto che non aveva capito bene. Tutto ciò che quella donna, sua moglie, provava glielo si leggeva in faccia. Ripeté la risposta a segni.
Pensava che fossi l’anello debole.
Due elementi sono fondamentali in questo passo, uno molto attinente al nostro discorso, l’altro semplicemente stilistico, ma che riprenderemo fra un momento estrapolando un altro brano e riallacciandolo al resto.

Il primo punto, quello importante, è l’amarezza dell’uomo. Steve Carella (benché qui non vi sveli nulla e della trama e delle soluzione) ha subito una delusione scottante. È stato preso in giro, etichettato come colui che poteva essere l’anello debole del meccanismo, a favore del colpevole. Non importa qui se il caso sia stato o meno risolto (e tengo a precisare che può accadere, in polizieschi di questo genere, che il caso non si risolva sempre per il meglio), ma quello che prova il personaggio, la sua delusione, il profondo dispiacere che ogni sera porta con sé, fino a casa, nel letto.

Il lettore che conosce il personaggio viene toccato e non può non sentire qualcosa dentro di sé. Questo particolare è mancato in molti romanzi della prima generazione, lo abbiamo sottolineato anche con le note introduttive e le citazioni di Hammett e Chandler.

Nessuno nega né la bellezza né la precisione logica della letteratura antecedente, senza la quale non staremmo qui a parlare, ma se da questo momento in poi il modo di scrivere è cambiato, è proprio grazie all’introduzione di elementi nuovi. Le famose regole del giallo sono sacre e immutabili. Qua e là, nel mezzo, qualcuno ci ha messo pure del suo. McBain, con le sue indagini corali, ci ha schiaffato dentro la vita. Direi che non è cosa da poco.

L’altro aspetto importante di questo brano è la ricorsività di espressioni e frasi.

Tutto ciò che quell’uomo, suo marito, provava glielo si leggeva in faccia.
[…]
Tutto ciò che quella donna, sua moglie, provava glielo si leggeva in faccia.
McBain scrive in modo molto personale. Niente di particolare, ma lo stile è riconoscibile. Il punto di vista esterno e l’uso asciutto e forte di lessico e sintassi aiutano a creare delle situazioni in cui il lettore si deve fermare un attimo, per assaporare il momento, lieto e meno che sia. L’autore scatta delle fotografie e te le schiaffa davanti, sintetico e preciso.

Un esempio? Torniamo a L’assassino ha lasciato la firma:

Entro il rettangolo delimitato a nord e sud dal fiume e dal parco, e a est e ovest dalla prima e dalla trentacinquesima di quelle strade, vivevano novantamila individui.
David Foster era uno di loro.
David Foster era nero.
Diretto, fotografico. Quell’ultima frase, in quell’America, in quel contesto, scritta così, asciutta, a quel modo, è un modo di colpire il lettore. Con questa riga l’autore ci dice tutto. Se avesse spiegato cosa significava essere nero in quella città per quell’uomo, non avrebbe trovato parole adatte. Così, il lettore ha capito.

Quando questo stile si abbina alla vita dei personaggi della serie e a quella ricorsività cui accennavamo, l’effetto è incredibile. Nel romanzo Attentato Carella (titolo originale: Killer’s wedge), tutto questo lo troviamo insieme. Qui la coralità si manifesta in tutta la potenzialità.

Vi descriviamo la scena: una donna è chiusa nella sala di lavoro dei detective e ha in mano una bottiglia che, così a detto, contiene nitroglicerina. McBain fa vivere la scena a tutti i presenti, chiudendo i paragrafi a questo modo:

Se avesse potuto seguire il suo istinto, si sarebbe precipitato su Virginia Dodge per strangolarla.
In quel momento si chiese se il liquido contenuto nella bottiglia fosse veramente nitroglicerina.
Si alzò e si ripulì la gonna dalla polvere. Lo sguardo che lanciò a Virginia avrebbe incenerito l’intera armata rossa.

In quel momento, anche la ragazza si chiese se il liquido contenuto nella bottiglia fosse veramente nitroglicerina.
Il poliziotto tamponò la ferita con un fazzoletto inumidito con acqua fredda. Ma non più fredda della sua collera.

E per l’ennesima volta Cotton Hawes si chiese se la bottiglia contenesse veramente nitroglicerina.
Virginia Dodge sorrise ironicamente.