;;;;Dipende, perché tutto è sempre e solo in funzione della narrazione. Se nell’economia del racconto ho previsto una scena in cui i personaggi debbano mangiare, perché è allora che qualcuno viene avvelenato, avrò bisogno di sapere quali erano le vivande, come venivano presentate, che tipo di piatti e stoviglie si usavano ecc. Ma se questo snodo narrativo non c’è, a che servirebbe metterci a forza un capitolo di ricette medievali, semplicemente per “far vedere” come mangiavano in quel tempo? Un romanzo non è mica una puntata di Quark! Quanto alle fonti, ormai la diffusione di internet ha reso accessibili una miriade di canali che prima erano spesso irraggiungibili, per tutti gli aspetti pratici e figurativi del passato. La cosa più difficile resta il linguaggio, lì non ci sono siti che ti spiegano come parlasse un uomo o una donna del ‘500 o un antico romano. L’unico modo, molto parziale, è ricorrere alla letteratura del tempo. Dico parziale, perché in nessuna epoca il parlato e lo scritto coincidono. E comunque, sempre cum grano salis: in apertura dei “Promessi sposi” Manzoni dà una prova ineccepibile di linguaggio del ‘600: ma te lo immagini se poi avesse continuato a scrivere tutto il romanzo così? Se ne guarda bene, e dopo poche pagine passa a usare la lingua del suo tempo. In questo campo ci sono due problemi: evitare errori grossolani di cronologia (per esempio far parlare un personaggio del ‘300 di “rivoluzione” o un senatore romano di “depressione”), ma per questo basta un buon dizionario storico-etimologico. Poi cercare di ricostruire non tanto il modo di parlare, quanto quello di pensare, delle altre epoche. Elementi che a noi sembrano ovvi, come il fatto che uccidere è male, non lo erano affatto solo pochi decenni or sono. L’eugenetica o il razzismo non avevano nulla di indecoroso prima della seconda guerra mondiale. E questo è difficilissimo, bisogna come dicevo, andare ad abitare in qualche modo nel periodo.

Ad opera finita, sorge d’obbligo una domanda, il periodo storico che hai ricostruito per i tuoi lettori “quanto” è realmente diverso dal qui e adesso? Ci sono similitudini o parallelismi, hai forse scoperto qualcosa che neanche sapevi, oppure senti che adesso quel passato ti appartiene davvero o percepisci che comunque, al di là degli studi e dell’impegno, “qualcosa” continua ancora a sfuggirti?

La storia è sempre storia del presente. Nel senso che ogni avvenimento viene necessariamente rielaborato e filtrato dalla contemporaneità dell’autore. “Ivanohe” non è un romanzo medievale, è un romanzo dell’Ottocento ambientato nel medio evo, esattamente come il “Nome della rosa” è un grande romanzo del Novecento che parla di monaci assassini. Ed è bene che sia così: qualcuno vuole la storia, allora che si legga la “Chanson de Roland” o il “Perceval” o “Le roman de Tristan”. Gia la “Mort d’Arthur” non va più bene, è un romanzo del ’400 che parla del ‘400 fingendo di parlare di sette secoli prima. In questo senso, le ragioni profonde della storia non solo continuano a sfuggirmi, ma lo faranno sempre, c’è poco da rimestare per archivi. Ma è proprio dalla loro ricerca che nasce la tensione narrativa, da questo senso ineluttabile di distacco.

Non rimane che soffermarci su una constatazione di fatto: moda o tendenza che sia ormai sono molti, anzi moltissimi, gli autori che si cimentano nel genere storico. E il pubblico sembra gradire. A cosa è dovuto questo interesse verso la storia, forse oggi la nostra identità è così poco strutturata che abbiamo bisogno di guardare indietro, come diceva Churchill, per meglio comprendere il presente e proiettare in prospettiva un possibile futuro?

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 ;;;;I motivi sono forse molti, non ultimo la moda. Solo dieci anni fa in Italia si era in tre o quattro a scrivere gialli storici, e qualche decina in giro per il mondo. Il perché vero di tanto successo sfugge anche a me: probabilmente si tratta di una reazione del pubblico allo schiacciamento ossessivo sul presente dei media in genere, che scatena il desiderio di una fuga verso orizzonti più vasti. Però questo avrebbe dovuto comportare anche un rilancio della fantascienza, il che non è avvenuto. Forse il passato, con la sua apparente certezza, sembra più rassicurante dell’incertissimo presente e dell’inesistente futuro. Può anche darsi che lo sbandamento di identità causato dai flussi migratori accenda il desiderio di riscoprire le proprie radici. La storia trasmette inoltre un altro elemento consolatorio: che comunque, alla fine, il mondo sopravvive e va avanti.

Ora che, in un modo o nell’altro, hai fatto determinate scelte, ti capita mai di sentirti in trappola? Ti chiedi mai se sarai capace, un giorno, di cimentarti con qualcosa di diverso o nutri mai il timore che anche facendolo resteresti in balia di quel personaggio o di quel periodo storico o di quella determinata ambientazione? È un rischio che si corre davvero, oppure un falso mito da sfatare?