Vipera di Maurizio De Giovanni, Einaudi Stile Libero Big 2012.

Napoli 1932, una settimana a Pasqua. Arriva la primavera. Al Paradiso, “il casino più famoso della città, quello per i ricchi” viene uccisa Cennamo Maria Rosaria, ovvero Vipera, ragazza bellissima conosciuta da tutti. Proprietaria dell’esercizio Yvonne, a trovarla viva per ultimo Coppola Giuseppe di lei innamorato fin da ragazzo, e a trovarla morta Vincenzo Ventrone, commerciante di arredi sacri con tendenze sadomasochiste, uno dei tanti “affezionati” clienti. Morta soffocata con un cuscino sul quale ci sono dei capelli biondi (e pure sulla spazzola), il cadavere “scomposto in mezzo alle lenzuola sgualcite”, una delle gambe penzolante nel vuoto, le braccia aperte. Le parole “sentite” dal commissario Ricciardi (che ha, come sappiamo da precedenti letture, questo “dono”) Frustino, frustino. Il mio frustino.

L’indagine porta alla luce una serie di storie particolari come quella d’amore di Coppola per Maria Rosaria, “presa” dal sindaco, il signorotto del paese di manzoniana memoria, quando era ancora una giovinetta, la gelosia di un’altra prostituta per Vipera, la precaria situazione economica di Yvonne. Un aiuto particolare arriva dal brigadiere Maione e la sua principale fonte di informazione, Bambinella, con il kimono di seta nera a fiori rossi e gli occhi “pesantemente tinti”.

Accanto alla storia delittuosa si svolge il sofferto rapporto sentimentale del commissario con Enrica, la giovane dirimpettaia, e Livia, amica della figlia del Duce, due figure diverse di donna entrambe attratte da questo uomo affascinante e tenebroso.

Solito sguardo sulla città: friggitori, venditori di uccelli, suono fastidioso degli zerri, venditore di noccioline, il falso cieco e il fisarmonicista veramente cieco, il riparatore di ombrelli, i bambini scalzi che sguazzano nel fango, l’allegria tra “affamati, laceri e disgraziati”. Il tempo che cambia, la pioggia, il vento e il sole che ritorna. Qualche spunto sulla violenza fascista che aggredisce perfino chi osa rimuovere dalla parete del suo ufficio il ritratto del duce e il rapimento del dottor Modo che non nasconde la sua antipatia per questo nuovo corso della storia, una visione più umana sul mondo e la vita delle prostitute. Ed ecco, ad un tratto, l’intuizione, il ricordo di un particolare, la fine di una tragedia.

Al centro della vicenda non solo Ricciardi ma anche i “comprimari” come Maione, Modo, Livia, Bambinella che danno un tocco di più larga coralità al tessuto narrativo. Il martellamento di De Giovanni su certe parole o certi sentimenti come la notte, la notte di primavera, sul sogno, sul desiderio di tutti, a volte fin troppo esasperato nel suo svolgersi parossistico (se si “pigia” troppo si cade nel lezioso). Poi c’è la storia infelice di amore-non amore del commissario dolente e delle due donne di lui innamorate che tende inevitabilmente a raggiungere il punto di rottura (qui bisognerà prendere una decisione). Un romanzo intenso, commovente, basato soprattutto sui “perché”, e nello steso tempo in certe parti ripetitivo (soprattutto per chi ha letto gli altri libri), anche se ad un livello stilistico di tutto rispetto. Sempre ottimo con qualche piccola incrinatura dovuta all’allungarsi della storia.