La tabacchiera avvelenata di Richard Hull, Polillo 2013.

Villaggio di Scotney End. Henry Cargate, odiato da tutti, trovato morto in una carrozza ferroviaria dopo avere fiutato dalla sua tabacchiera il tabacco, in cui era mischiata anche polvere di cianuro di potassio, da lui stesso fatta acquistare per distruggere un nido di vespe. Si sospetta l’assassinio e una persona, di cui non si fa il nome (lo sapremo alla fine), è già sul banco degli imputati. Pubblico accusatore Blayton, avvocati difensori Vernon e Oliver, il giudice Smith che presiede il processo.

La vicenda si svolge su due piani temporali: l’andamento del processo in diretta con gli interventi dell’accusa e della difesa e il resoconto delle passate indagini condotte dall’ispettore Fenby di Scotland Yard “un uomo tanto coscienzioso quanto metodico, e trovava spesso che mettere le cose nero su bianco gli era di grande aiuto nel consentire di chiarire le sue idee”. Indagine difficile perché il morto, come già detto, suscitava antipatie dappertutto e, secondo il suo fornitore Macpherson, aveva pure contraffatto alcuni francobolli di valore.

Si tratta della classica ricostruzione minuziosa di orari e spostamenti con continui interrogatori, ipotesi, dubbi, ripensamenti e un occhio buttato anche sul giudice e sul dibattito nella giuria. Conclusione sorprendente con la domanda se si possa in qualche modo condizionare un processo.

Un bel malloppo di dati da masticare e digerire. Ci vuole pazienza e una certa propensione a questo genere di racconti. Allora si può rimanere veramente soddisfatti. Altrimenti, come diceva la Mondaini, che barba che noia che barba che noia…