John Underwood, Il libro segreto di Sherlock Holmes (Licensed to Kill, 2012), Newton Compton, Roma, 2013, € 9,99, pp. 370.

Dopo Il libro segreto di Shakespeare è la volta di Sherlock Holmes: la doppia scelta di Underwood basterebbe a farci rizzare le orecchie, perché Sherlock Holmes condivide con Amleto, Re Lear e Macbeth una notorietà che ha attraversato i secoli e i millenni. Ma c’è di più. L’autore vuol dire la sua su una questione su cui si sono già pronunciati molti scrittori, vale a dire i legami tra il famigerato Jack lo Squartatore e il più celebre investigatore della storia della letteratura. Che il primo fosse creatura in carne e ossa e il secondo pura finzione letteraria, sembra un argomento del tutto trascurabile: quel che conta è che gli efferati delitti di Jack the Ripper inziano nel 1888, proprio l’anno successivo – coincidenza intrigante – alla comparsa di Holmes sulla scena letteraria (A Study in Scarlet, 1887). Un caso? Sia pure. Ma se si pensa che Conan Doyle era un dottore, e che Watson – quando non scriveva le gesta del suo amico – esercitava la stessa professione, il fatto che il serial killer eviscerasse le sue vittime con perizia chirurgica fa, per così dire, suonare un campanello d’allarme. E che dire del fatto che si trattava, appunto, di un assassino seriale? Non è, in fondo, la ripetizione del rituale omicida l’eco di un’altra serializzazione, quella cioè dei racconti e romanzi, del loro stesso riapparire numero dopo numero sulle riviste inglese e d’oltreoceano – lo Strand, il Collier’s, il Beeton’s, ecc.? I collegamenti di certo non mancano, e proprio su queste analogie si sono costruiti diversi pastiche nel corso degli anni, pastiche che a volta hanno incluso altri personaggi dell’epoca, vuoi letterari (come il dottor Jekyll: vedi Loren D. Estleman, Luciano Vandelli) vuoi reali (come Oscar Wilde: vedi Russell A. Brown). E lo stesso Squartatore appare in un altro romanzo recente, Sherlock Holmes and the Whitechapel Vampire (Dean P. Turnbloom 2012), un ottimo apocrifo di cui proprio in questi giorni esce la traduzione in italiano nella collana curata da Luigi Pachì per Delos Books. La trama scorre su due piani: siamo a Whitechapel nel 1888 ma anche a Londra e in America ai giorni nostri. Con una piccola, forse trascurabile differenza: là le vittime erano per lo più prostitute di mezz’età, qua sono giovani insegnanti che ruotano intorno al mondo universitario. Comunque, donne.

In un momento in cui si parla molto di stalkers, di femmicidio e di femminicidio, i delitti dello Squartatore sono fastidiosamente attuali. Nel nostro Paese una donna viene assassinata più o meno ogni due giorni, e l’orrore di corpi straziati, abusati, stuprati è purtroppo quotidiano. Il “delitto d’onore” è spesso ancora la maschera ipocrita che nasconde una realtà agghiacciante fatta di frustrazioni, di patologie irrisolte, di arretratezza culturale priva di alcuna giustificazione. E la realtà è ancor peggiore di quella della finzione – e non solo in Italia, ma anche in America e negli altri paesi “civili”: – poiché se Jack the Ripper si erge a giustiziere, se vuole fare un’opera di “pulizia”, gli uomini che giustiziano le donne nella realtà odierna sono troppo spesso i loro mariti o ex-mariti, fidanzati o ex-fidanzati. Una realtà molto più drammatica della finzione. Come dice il primo racconto dell’antologia Ferite a morte (a cura di Serena Dandini, 2013): “avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti”.

Qui il mostro non è in casa, ma si aggira per le strade di una metropoli ora vittoriana ora contemporanea, riuscendo a infilarsi anche negli incubi di una ragazza, Melissa: figlia del protagonista, Jake Fleming, un giornalista americano che lavora a Londra, lei studia a Boston e i suoi sonni sono turbati da un corvo (cfr. Poe, ma anche il romanzo precedente di Underwood) messaggero d’angosce. Il proposito del “mostro”, analogamente a quello del suo più noto predecessore, consiste nel compiere la volontà punitiva di Dio, ovvero di liberare la società da pseudo-educatori che tramite le loro “spregevoli lezioni” non fanno che “infondere, inculcare, propagandare e diffondere menzogne sulla storia, le classi e la società”, distorcendo i fatti che riguardano l’Impero e il capitalismo. Alla prima vittima (bianca) ne segue una di colore, la cui eviscerazione è intesa a confermare l’uguaglianza anatomica degli organi interni. Si intravede un’inquietante analogia: entrambe le giovani insegnavano a studentesse appartenenti a minoranze etniche. La polizia si mette sulle tracce dell’imitatore dello Squartatore.

Imitatore: così è chiamato l’assassino. Jake Fleming inizia così a indagare presente e passato con gli strumenti di cui oggi si dispone: computer, Google maps, ma anche cartine d’epoca. Tutta la topografia londinese passa sotto i nostri occhi, e i vecchi omicidi si confondono con i nuovi. Il ritorno di Jack, così viene definito dalla stampa, fa rivivere orrori assopiti e pone nuove domande: perché qualcuno uccide queste donne? Perché imita lo Squartatore? Perché è animato da una perversa missione razzista? E soprattutto, come fermarlo? Il romanzo si snoda fra indagini letterarie e geografiche, storiche e culturali, sullo sfondo di una realtà che purtroppo conosciamo bene – quella della sofferenza del mondo intellettuale a causa dei tagli sistematici di budget a giornali e università. C’è da sperare che i lettori del romanzo si entusiasmeranno non solo per i luoghi tradizionalmente frequentati da turisti (Whitechapel è già sede di tour ufficiali di dubbio buon gusto citati dallo stesso Underwood, e in Baker Street c’è sempre la fila per entrare al museo di Sherlock Holmes) ma anche per quelli meno canonici, come il Bristish Museum o la British Library, templi della cultura e veri protagonisti di questa storia. E l’autore dissemina nel libro indizi che il lettore attento vorrà di certo seguire. Uno fra i tanti? “Come ha detto Geoffrey. Li raggirò tutti”. Cercate Geoffrey in Google e lo troverete. L’autore sa decisamente il fatto suo, e anche le traduttrici hanno fatto un buon lavoro, nonostante abbiano scambiato l’autrice de La scienza di Sherlock Holmes per un uomo, abbiano usato per definire Il mastino dei Baskerville il termine“giallo” che personalmente trovo inappropriato, e abbiano inserito a p. 362 una nota ben poco chiara.

E Sherlock Holmes, qualcuno starà pensando: che c’entra con questa trama? Bé, in una recensione non si può dire tutto, altrimenti che senso ha poi leggere il libro? Darò quindi solo qualche indizio. Oltre a Sherlock Holmes incontrerete Van Gogh, i Massoni, i Padri Fondatori, i Templari, i Creazionisti, i Rosacroce, gli Illuminati, i Vampiri, il Nuovo Ordine Mondiale, Arthur Conan Doyle e un personaggio che giura di aver visto Dracula in persona. Il capitolo 9, poi, si intitola “Eliminare l’impossibile”. Vi dice nulla? Il capitolo 13, “Ciò che resta per quanto improbabile”. Andiamo, ora tocca a voi… E a pagina 101 troviamo una figura tratta dall’ “Illustrated London News” del 13 ottobre 1988 che ritrae Holmes e Watson mentre indagano i delitti di Whitechapel. Dunque – se la fonte è attendibile – realtà e fantasia si mescolano già da allora. Anche l’immagine di p.113, tratta da Uno studio in rosso, si presta a una nuova, avvincente interpretazione.

Il romanzo non è un capolavoro, e a un intreccio ricchissimo e promettente non segue, a mio parere, una conclusione altrettanto soddisfacente. Ma ci sono dei pregi. Fra questi, lo smascheramento della responsabilità dei media nella spettacolarizzazione del crimine: poco prima del terzo omicidio, a Londra per moto spontaneo inizia a radunarsi gente con cartelli che inneggiano al ritorno di Jack, e su Twitter i post si diffondono senza fine. Qualcuno è travestito da Holmes. Un’euforia collettiva ha preso tutti e pare che a nessuno – se non agli investigatori – interessino i corpi straziati delle prime due vittime. Quando la polizia si decide a far sgomberare la piazza, verrà rinvenuto il terzo cadavere.

Non dico altro. Ne mancano due! Griderà qualcuno, deluso. Ma siamo nel 2012, non nel 1888. Siete proprio sicuri che ne manchino ancora due? O nessuno? O molti di più? E soprattutto, vi starete di certo ancora chiedendo: cosa c’entra Sherlock Holmes? Dopo tutto, forse c’entra veramente poco.