Non manca neppure un tocco di spionaggio, all’epoca molto in voga. Powell l’addetto culturale inglese è un agente dell’Intelligence Service (e qui Massimo Girotti ne dà veramente una convincente interpretazione) incaricato di recuperare un memoriale o meglio un “carteggio” tra una personalità inglese e una nazista, perso a Roma e nascosto da un ufficiale delle SS proprio nell’arcano nascondiglio del Segno del Comando, favoloso sigillo in grado di consegnare il potere assoluto o forse anche il segreto della vita eterna.           -L’avventura si conclude poi con una serie di spiegazioni intrecciate, montate in maniera non banale con alcuni colpi di scena che ci evitano lo “spiegone” che sembra un’incudine incombente sul finale di qualsiasi giallo e che qui è evitata con abilità nella sceneggiatura. Il nostro Foster salva la vita e svela il mistero, le lettere compromettenti vengono recuperate e messe al sicuro e chi deve essere punito, subisce il castigo.

Peccato che il sottile feeling che abbiamo intuito crescere tra Foster e Barbara, la segretaria di Powell (Paola Tedesco, non si sa bene se per inaccortezza o astuto artifizio, ripresa in una lunga scena di dialogo con un abito di maglia scura sotto il quale, però, evidentemente non indossa biancheria intima... scandalissimo per l’epoca di cui nessuno sembra aver fatto caso) si debba dissolvere. Foster resta stregato da Lucia che appartiene al mondo dei sogni delle allusioni e che si manifesta proprio nel finale dando l’ultimo tocco d’emozione alla vicenda.

Di sicuro un prodotto riuscitissimo peri tempi, forse non riproponibile in un remake oggi ma che in quel bianco e nero un po’ sfumato del master originale, con una Roma “rugantinesca” più che reale, ancora regala emozioni.