Fred Vargas Nei boschi eterni, Einaudi Stile libero 2007.

“Il fantasma di una monaca del Settecento che sgozzava le sue vittime non fa paura al commissario Adamsberg, ma tutto il resto sì. Da un momento all’altro sprofonda in un mondo che sembra tornato al medioevo, dove si straziano i cervi dei boschi normanni, si profanano cadaveri di vergini per estrarne misteriose sostanze, e le pozioni magiche assicurano la vita eterna, a costo di orrendi delitti. Mentre un rivale che arriva dal più lontano passato, e che parla in versi, gli vuole rubare tutto, fatto apposta per far smarrire la ragione a chiunque. Ma non a uno “spalatore di nuvole” come Adamsberg”. Aggiungo solo l’importanza di un gatto in questa storia.

Jean Baptiste Adamsberg: visto dal tenente Veyrenc “Da lontano Adamsberg non era niente di speciale. Aveva incrociato varie volte quell’uomo piccolo, corpo nervoso e movimenti lenti, viso dalle prominenze composite, abiti gualciti e sguardo altrettanto gualcito, senza immaginare che si trattasse di uno degli elementi più noti, nel bene e nel male, dell’Anticrimine. Persino gli occhi sembrava che non gli servissero a niente”. Visto dalla dottoressa Ariane “Riconosceva quell’andatura, ventitre anni dopo. La voce bassa, i passi lenti. Non gli aveva prestato attenzione quando era giovane, non aveva intuito niente, capito niente”. Non un Apollo ma irretisce ugualmente le donne. Come era successo a sua moglie Camille “impantanata” nei suo sguardi evanescenti e nelle sue voci morbide. In seguito la sua voce definita “lenta, tiepida e mutevole”. Poi lo aveva lasciato. Hanno un figlio di nome Tom a cui inventa delle storie. Quadretto affettuoso “Adamsberg si era sdraiato sul suo nuovo letto, con il bambino su di sé, aggrappato come uno scimmiotto ai peli del petto del padre”. Mani grandi, due orologi al polso “che cozzavano fra di loro”, un anello d’oro, abbigliamento trasandato. Le sue inchieste lunghe e “boccheggianti”, in contrasto con i dubbi di Danglard di cui accetta i “brontolii”. Non gli piacciono le discussioni collettive ed è poco propenso a dare ordini. Anche la tenente Violette Retancourt di 35 anni, che sta dalla sua parte, ritiene “che le vaghe direttive di Adamsberg” costringono “troppo spesso i membri della squadra a operare alla cieca”. Non ispira simpatia al medico Romain ma piano piano si lascia anche lui “irretire dalla persuasione che lui emanava come un effluvio insidioso”. Se ne accorge Danglard “Aveva visto il medico cedere, piegarsi come un albero sotto il vento, come ne aveva visti cedere tanti altri, uomini di ferro, donne d’acciaio, attratti da quella seduzione non appariscente né scintillante, indefinibile, non motivabile”. In seguito “Adamsberg era bravissimo a saltare gli ostacoli, insinuandosi nel profondo delle resistenze altrui con la perfida energia di un rivolo d’acqua”. Insomma il Nostro cattura e non può essere catturato come il vento. Non capisce il calcio “Se a dei tizi faceva piacere lanciare un pallone in una rete, cosa che gli sembrava comprensibilissima, a che pro mettergli apposta di fronte un’altra banda di tizi per impedirgli di lanciare la palla nella rete?”. Si arrabbia difficilmente ma quando capita può diventare pericoloso. Starebbe bene anche da solo in montagna con “i piedi a mollo”. Ricordi delle messe e di sua madre che sospirava con il fazzoletto sugli occhi. La sua attività principale è quella di “produrre pensieri sconsiderati”. Poi apre la testa e li fa uscire. Invariabilmente rimane impigliato sempre un pensiero più ostico che non se ne vuole andare. Si incavola di brutto quando si accorge che il nuovo arrivato Veyrenc ha una storia con la sua ex moglie. Lo fa intercettare e allora diventa una vera e propria “macchina da guerra”.

Un bel libro. Un bel personaggio. Abbiamo tutto. O quasi, dato che la perfezione non esiste. Stile limpido, scarno, asciutto, essenziale senza tanti ghirigori. Da leggere per imparare a scrivere.

Sito dell’autore www.libridiscacchi.135.it