L’apparenza delle cose di Elizabeth Brundage, Bollati Boringhieri 2021.

“Babbo, è un libro bellissimo! Devi leggerlo!” esclama mia figlia Claudia, porgendomelo. Lo leggo.

La prima impressione è un senso di inquietudine che pervade il racconto. Con inizio drammatico. Chosen, stato di New York. Un omicidio. In una fattoria dove George, insegnante di storia dell’arte, trova al suo ritorno la moglie Catherine con un’ascia piantata sulla testa, mentre la piccola figlia Franny è chiusa nella cameretta. Le sue risposte, però, non convincono lo sceriffo Travis Lawton. Che sia proprio George l’assassino? Il sospetto comincia a circolare…

Casa stregata, dice la gente, dove, andando indietro nel tempo, è avvenuto un altro episodio sconcertante, ovvero il suicidio di due genitori che hanno lasciato tre figli adolescenti: Eddy, Cole e Wade.

Due famiglie, due storie a più voci che si intrecciano e si avviluppano sempre di più attraverso salti nel tempo, mettendo a fuoco una faticosa società rurale e via via i personaggi che ne fanno parte. Visti nelle loro azioni esterne ma, soprattutto, scandagliandoli all’interno. Perché esiste l’apparenza ed esiste la realtà, come dal titolo del libro.

Intanto c’è qualcosa che non va in queste famiglie. Qualcosa che non va soprattutto nelle mogli Catherine e Ella Hale: solitudine, sogni infranti, pensieri, malinconia. Inquietudine, come già sottolineato all’inizio. Mariti, uomini che non meritano. Ma anche i maschiacci hanno i loro ricordi, le loro mancanze, mancanza di attenzione, di affetto quando erano piccoli. La mancanza come uno dei temi centrali del libro che si insinua in molti personaggi.

Difficile esprimere, mettere a fuoco tutte le caratteristiche del libro in una semplice recensione. Per cui sarà solo un resoconto parziale. Dunque partiamo da George e Catherine. Un matrimonio fallito, lui perfino la tradisce con la giovane disperata Willis Howell, eppure “La gente pensava che si amassero, che stessero costruendo una vita insieme. Tutti sorridevano ammirati.” Ecco, oltre la mancanza, l’apparenza. E poi arrivano altre famiglie, altri personaggi, altre storie, il sacrificio per le donne che si tramanda di madre in figlia, il mistero, il soprannaturale, le apparizioni inspiegabili per Katherine e Franny, la seduta spiritica, le passioni oscure, i riferimenti artistici e filosofici, i dibattiti sul sentimento religioso molto sentito in quella società. E ancora l’evoluzione dei tre ragazzi rimasti orfani aiutati dallo zio che se ne prende cura, la lotta per sopravvivere, la forza di volontà, di resistere, continui salti temporali a mettere insieme i ricordi, i pezzi di una vita, di un’anima.

E l’assassinio? Chi è il colpevole? Lo sceriffo ce la mette tutta, lui sa che il colpevole è George, niente impronte sull’ascia e niente ruberie nella casa, ma non può dimostrarlo, si stanca, si avvilisce, si macera portando alla fine il suo matrimonio con Mary. Facile nascondere una psicopatia anche se qualche intuito femminile l’ha capito. Passioni, incomprensioni, violenza, brutalità e ancora omicidi, ancora personaggi presentati con il dovuto rilievo che hanno la loro parte importante. E un piccolo spazio, un piccolo spazio anche per l’amore puro e sincero. Quello che troppo spesso manca.

A fine lettura come vogliamo definire quest’opera di Elizabeth Brundage?: un giallo?, un thriller?, un domestic noir?, un che cosa? A me pare un grande romanzo sulla vita, sull’esistenza dell’uomo con tutti i casini che si porta appresso. Che ci fa riflettere anche su noi stessi, su come siamo, su come ci vedono gli altri e su come avremmo potuto essere se…

Aveva ragione mia figlia. E’ un libro bellissimo.