Andiamo a scoprire la penna di questo autore calabrese di nascita e lombardo di adozione. Liberatosi dal suo vecchio male di vivere attraverso un profondo lavoro su se stesso, sebbene se ne scorga ancora l’ombra nei suoi scritti, prima di approdare al noir ha vissuto una lunga parentesi come scrittore indie dietro lo pseudonimo di Paolo Massimo Neri con la tetralogia fantasy La Leggenda del Drago d’Argento (ora in fase di completo restyling).

Un'intervista a Ennio Masneri che ci racconta delle sue 120 pagine di Il silenzio del niente in cui dà vita a due racconti noir psicologici per indagare, con una vena di iperrealismo, le conseguenze della violenza fisica e morale sulle donne e sui bambini.

Ennio, tratti temi forti, importanti, spesso messi a tacere. Perché hai scelto di farlo attraverso due racconti noir psicologici?

Perché penso che il noir si avvicini spesso a queste tematiche piuttosto forti, appunto, e non conceda compromessi tra la cruda realtà che spesso vediamo in giro e l’acquiescenza abituale della società. Si può dire che spinge a indagare spesso e a fondo argomenti difficilmente digestibili, mette a nudo la vera realtà del genere umano, le sue idiosincrasie, le sue contraddizioni senza bisogno di colorarle di un certo buonismo che è, come spesso accade in molti testi, una nebbiolina che obnubila certe menti e spinge il cuore nell’oblio, nella volontà di tacere, di lasciare perdere, di non pensarci, di restare lontano da questi scottanti problemi. Per usare parole semplici, il noir è una sferzata della memoria alla memoria stessa per non perdere di vista i veri temi da affrontare e risolvere come i femminicidi, gli stupri e le violenze sui bambini.

Oltre a Carlo Levi, cito Andrea Camilleri: “Le parole sono pietre, le parole possono trasformarsi in pallottole, bisogna pesare ogni parola che si dice e far cessare questo vento dell'odio”. Anche il silenzio lo è altrettanto?

Sì, penso di sì in quanto il silenzio al di là della valenza della parola è un’arma molto forte perché ti lascia solo, permette che il male tratteggi la tua esistenza. Non produce nulla. Non dà alcun vantaggio né alla vittima né a chi dovrebbe proteggere quella vittima. Il silenzio ha lo stesso potere di un dito puntato contro chi ha subito il male: è il vento dell’odio che trasporta le parole che fanno male, il filo conduttore. Per questo va sconfitto non con una parola soltanto, ma con mille, milioni… anche dieci parole vanno bene, purché alla parola segua un’azione non nei confronti della vittima di violenza fisica e morale bensì contro chi pratica tale violenza. Se ci addormentiamo nelle nostre abitudini è come se quel silenzio carico di odio, di pregiudizio, di sdegno baciapile, vincesse a spese non solo della vittima ma anche di noi stessi, perché un giorno anche noi potremo essere vittime di quelle violenze contro cui non abbiamo fatto nulla per fermarle.

Tratteggiaci con pochi aggettivi i personaggi a cui hai dato vita in ciascun racconto…

Red è una donna confusa, ha subito una violenza sessuale da ragazzina e cerca la sua pace uccidendo in un tentativo disperato di giustizia personale. Non conosce l’amore ma vorrebbe amare sentendosi però limitata da quella violenza subita che la segue come un’ombra. Carlos invece è freddo, calcolatore. È il risultato della manipolazione genitoriale e non sa cosa significhi crescere ed essere un bambino, se ne resta per tutta la vita ad affrontare i fantasmi delle persone che ha ucciso come se fossero compagni di giochi per poi scoprire, dopo l’ennesimo omicidio, di avere avuto sempre una certa umanità nascosta e troppo tardi ritrovata.

Ti sei ispirato a persone di tua conoscenza per dar loro forma?

No, ma mi sono ispirato a tutte quelle persone che apparivano sui giornali perché violentate, umiliate, vilipese per aver subito violenza, accusate troppo facilmente di vittimismo e spesso lasciate sole per non essere guardate in faccia. Mi ha colpito anche la superficialità di certi giudici, e non solo di loro, che assolvevano stupratori perché le vittime indossavano vestiti a loro detta provocanti, come a tentare di dare una parvenza di giustificazione ai bassi istinti bestiali di questi uomini.

In chiusura, il tuo editore ha scritto quanto segue: “… Attraverso due vicende così diverse eppure così simili, Masneri delinea uno scenario dove non esistono semplici vittime o carnefici, entro cui i personaggi non fanno che spostare il baricentro emotivo della narrazione in un crescendo di luci e ombre. Resta, come punto cardine per il lettore, una ferma condanna nei confronti della violenza, raccontata a volte nella sua cruda efferatezza, altre nella sua atroce banalità, altre ancora con quell’indifferenza e quel silenzio che tuttora, troppo spesso, la accompagnano”. Cosa speri di aver lasciato a chi ti ha già letto e a chi ti leggerà?

Mi auguro che ciò che ho raccontato faccia presa non solo nella mente e nel cuore, ma anche nella memoria, perché è fondamentale ricordare. Se ciò che ho scritto e scriverò sarà un’ulteriore goccia nell’immenso oceano della letteratura, sarò orgoglioso di aver trasmesso il mio messaggio. Ciò che è nei miei ricordi lo voglio mostrare a chi ha il coraggio di leggere e di non dimenticare, perché la cultura non è soltanto un passatempo da svolgere tra un’occhiata al cellulare e la moda di qualche influencer, è un qualcosa di anticonvenzionale che deve far presa nell’animo per non permettere all’ignoranza, al pregiudizio, alle mentalità antiche e pseudoreligiose o a un certo buonismo di parte e dei media, di vincere e governare la società attuale e per fa sì che esistano persone che, anziché puntare il dito, si ricordino di non essere sole per combattere, anche denunciando la violenza subita.

Il silenzio del niente di Ennio Masneri, ed. La Vita Felice pagg. 120, euro 15,00