Nel maggio del 1995 usciva su “Segretissimo” Raid a Kouru la prima avventura del Professionista, personaggio che mi era stato chiesto di serializzare per affiancare Malko Linge SAS che restava l’unico eroe seriale della collana. Era un momento, devo dire, difficile per la spy story avventurosa. Le collane in paperback americane e francesi si erano ridotte sino all’estinzione e spesso venivano pubblicati ancora romanzi della Guerra Fredda di autori consolidati ma che, in quel momento, mi parevano fuori tempo.

“Segretissimo” (giudizio da lettore anche se avevo già pubblicato un romanzo con il mio nome, Sopravvivere alla notte da poco ristampato da Centoautori in una bella edizione da libreria) stava perdendo mordente. Forse la caduta dei blocchi aveva falsamente convinto che il filone fosse morto (errore di valutazione gravissimo), e comunque io ero un convinto sostenitore che il pubblico volesse un eroe nel quale identificarsi. Un duro che “seduce, spara e picchia” per dirla un po’ rozzamente, ma che volete farci, sono cresciuto leggendo Spillane, Fleming, Bruce, Aarons e Nick Carter (non solo, ma come formazione spionistico-avventurosa contano quelli lì) non è che ci si poteva aspettare un eroe introspettivo.

Forte della mia convinzione avevo proposto a Luigi Bernardi un paio d’anni prima un personaggio per una lunga avventura a fumetti intitolata Agente di nessuno ambientata a Beirut e poi un seriale che poi era il Professionista. Non trovammo mai un disegnatore e fu un peccato. Però nel frattempo avevo pubblicato Pista cieca negli Oscar Mondadori e Lacrime di Drago negli Omnibus. Non sapevo che, alla fine sarebbero rientrati nella saga del Prof.

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Quanti titoli sono usciti da allora? Me lo chiedono spesso, e, anche consultando l’indice su Wikipedia, ho perso il conto. Il che, per me è già una cosa positiva. Diciamo che dal ’95 sono usciti sempre due volumi all’anno, a volte tre, e poi da quando sono cominciate le ristampe abbiamo abbinato alle riproposte degli inediti di varia lunghezza ma sempre romanzi (e questo di maggio è il numero 10). Poi ci sono i romanzi fuori serie come Pietrafredda, Nero criminale, Vendetta, Il Luparo (che è una versione ampliata di Giungla mortale, pubblicato da Metrolibri con i disegni di Cinzia leone, con una serie di collegamenti diretti alla serie pubblicato in Professional Gun). Infine tutti i racconti. Insomma Chance Renard il Professionista, alternandosi con altre mie produzioni perché raccontare è nel mio DNA, mi ha accompagnato costantemente per questi vent’anni.

Nasce da più di una prova e più di una intuizione. Se, come dicevo, l’idea che il pubblico volesse un eroe che non è un “supereroe da bambini” ma un personaggio, come diceva Fleming, che vive «storie improbabili ma non impossibili» era un canone fondamentale, molti altri dettagli dovevano emergere dal grandissimo mondo che costituisce il mio Immaginario. Più volte ho citato (e qui torniamo agli anni ’80) i romanzi scritti per puro diletto con un protagonista che era a metà tra 007 e Bruce Lee (Fang il Drago che diventerà un importante comprimario della serie), poi le letture di Al servizio di chi mi vuole di Scerbanenco e soprattutto l’opera omnia del grande Roberto Magnus Raviola, comprendendo Kriminal e Satanik, ma anche Dennis Cobb ma, in primo luogo, Lo Sconosciuto. Le fonti, come vedete sono tantissime, compreso negli ultimi anni il Nick Fury riletto da Ennis, la lezione sull’intrigo di tutta l’opera del mio unico e vero Maestro, Jan van Hamme (XIII, Largo Winch, Thorgal e tutta la sua produzione). Sinceramente le fonti di ispirazione sono moltissime. Devo dire quelle italiane si limitano a quelle citate, non lambiccatevi a cercarne altre...

Da principio, però, la mia idea (in effetti all’editor di allora presentai un progetto ma non specificai troppo perché questi son dettagli da creativi, non da funzionari editoriali) era quella di dar vita a un personaggio che avesse qualcosa di tutto ciò che mi aveva appassionato, ma incorporasse alcune mie esperienze di viaggio, di arti marziali, personali, trasfigurate. Insomma volevo fare quel piccolo gradino in più, necessario per distinguermi. E il punto forte di questo progetto era elaborare un personaggio che l’epoca stessa non voleva legato a un servizio particolare. Un mercenario, uno che si poteva considerare una “brutta persona”, e un po’ lo era davvero, perché si vendeva a chi poteva pagarlo.

Un trucco per delineare un duro alla Mike Hammer (con un suo codice che sarebbe emerso dalle sue scelte), ma in particolare modo, la possibilità di variare se non il tono e il ritmo delle avventure (che dovevano restare serie e sostenute) almeno ambientazioni e spunti. In retrospettiva, dopo tanti episodi, l’idea è stata vincente. Il pubblico si è abituato ad aspettarsi qualcosa di nuovo, una sorpresa a ogni uscita, magari a ritornare a distanza di tempo su argomenti e fil rouge lasciati in sospeso, ma non a cristallizzarsi in un unico formato. Ai tempi sembrava pericoloso perché il trend era quello di riproporre sempre la formula vincente.