Abbiamo un’artista, una grande artista di body art. Con il volto coperto da una maschera. Si accomoda su un lettino, apre la gambe, apre il suo sesso femminile e tira fuori un sacchetto di iuta. Poi apre il sacchetto contenente fagioli e roba simile che distribuisce alla platea osannante. Poi porta un calice da messa alla vagina, ci fa la pipì, la beve e comincia a masturbarsi. Poi volge le terga al pubblico, apre (è tutto un aprire) il suo ano ed una ragazza, che prima suonava angelica il violino, vi infila una grossa pannocchia di granturco. Poi la pannocchia viene sgranata, i chicchi cotti su un fornellino e distribuiti fra i soliti estasiati aficionados. Che se li gustano, naturalmente.

Ho avuto un sobbalzo. Prendere o lasciare. Mettere da parte il libro o continuare. Ho continuato. E non me ne sono pentito. Sì, perché questo BloodyArt - Il ritorno della

lesbocommissaria di Pablo Echaurren, Fernandel edizioni 2006, è tutto fuorché un libro sconcio. Parla di cose sconce, estreme, ma lo fa, se Dio vuole, con quella ironia ed iperbolicità che inducono al sorriso. Basta vincere l’imbarazzo iniziale. Che non è poco.

Personaggio principale il commissario di polizia Vanessa Tullera, una lesbica (e ti pareva) vergine innamorata del tenente Rosa Caronia. In due devono scoprire una serie di delitti allucinanti che riguardano questi “artisti”.

La prima è Ulrika Gessner, proprio quella della pannocchia trovata uccisa con qualcosa di più lungo che le ha sfondato il deretano. Il secondo è un certo Satisvarani la cui specialità consiste in “sedici ganci infissi nella pelle del torso, davanti e sulle spalle, sedici ganci che, mediante dei robusti cavetti d’acciaio, tengono il corpo in sospensione per quindici lunghissimi minuti”. Peccato per lui che nessuno l’ha tirato giù al momento giusto. La terza, la Zicotevich, è letteralmente scuoiata viva con il viso lasciato intatto. E poi c’è il fotografo Tiraboschi ucciso con un semplice, banale colpo di pistola alla nuca. Ed infine…ma basta così che sennò vi va via la voglia di leggerlo.

Oltre a Vanessa e Rosa abbiamo anche Cleofe Cazzaniga (il cognome è tutto un programma) la dottoressa (parodia di Key Scarpetta) che fa parlare i morti e che assilla il commissario con le sue strasudice barzellette. Un bel trio, non c’è che dire.

Questa Tullera sembra la più sana di tutti. Ha quella predisposizione che ho detto ma oggi fa ridere. E poi tiene questo sentimento per sé, non lo esibisce. Pare una Maria Goretti in un circolo di depravati. Beve caffè, fa ginnastica, svolge con tenacia il suo lavoro. Sua amica preziosa la Beretta. Tranquilla ma quando c’è da dire la sua

la dice. Anche con rabbia. E batte il pugno sul tavolo. Qualche volta si trova nello stesso tempo “stordita, allibita, incazzata, incuriosita”. Non male.

Una ventata di tagliente ironia su un mondo di estremismo bestiale, di fanatismo aberrante (mi viene in mente “Come una bambola di stracci” di Carol O’Connell). Una mostruosa galleria degli orrori che viene fuori da un testo dissacrante, grottesco, di humour nero. Se ne trovano di tutti i tipi e di tutti i colori. C’è quello/a che pur di farsi tramandare ai posteri si taglia con la lametta, si infilza le tette con gli spiedi, si scuoia i piedi, si arrostisce il pisello o lo martella, si scalpella la fronte, si fa mettere un paio di corna vere sulla fronte, si schiaccia le palle, si lega con il filo spinato, mangia gatti morti, si rotola sui vetri rotti…

Che casino, ragazzi!

 

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