Ritrovò anche due vecchi compagni di asilo, almeno così dicevano, Alceste e Diomiro; con loro passò gran parte della serata ed anche qualche giorno dopo, fino a quando durarono i soldi di Alberto Aspesi, quindi sparirono entrambi.  

 

Ancora un bivio per Alberto: rimanere ? tornare indietro? E tornare dove, con chi? Decise di rimanere, passò ancora qualche giorno a girovagare cercando una qualche occupazione, ma la fame e la guazza notturna, che lo faceva alzare dai giacigli provvisori tra dolori e movimenti impacciati, lo costrinsero a cercare in fretta una soluzione. Si presentò all’abbazia; trovò accoglienza in cambio di lavori di fatica.

Nei giorni che seguirono, riscoprì una dimensione che aveva perso, quella del tempo. Nell’abbazia poteva pensare, interrogarsi, porsi domande che, fuori nel mondo civile, non avrebbe mai osato pensare. Del tempo capì la volatilità: se speso male non sarebbe mai più tornato;  per questo mise il massimo impegno nel seguire l’insegnamento dei monaci e nel lavoro quotidiano. Iniziò anche ad esplorare l’abbazia da cima a fondo. Ne studiò gli affreschi, le agili ogive degli archi ed il gioco armonioso degli spazi che sembravano riprodursi quasi all’infinito. Pose domande su tutto, come un bambino che inizia ad aprirsi al mondo.

 

Un giorno, in una di queste esplorazioni, entrò nella biblioteca; ci era passato davanti più volte, ma quel portone alto e scuro lo intimoriva. Si fece coraggio abbassò il battente ed entrò. Fu colto da una profonda delusione, di fronte a sé si apriva un locale angusto dove stonavano i massicci banchi di lettura, le allineate sedute del coro, il maestoso leggìo. Guardando meglio si accorse che sui banchi erano posati alcuni incunabili, chiusi da un poderoso antico lucchetto, ma non si vedevano altri volumi. Anche nella cappella non aveva visto il messale.

Ne parlò un po’ con padre Giovanni, quello che lo aveva preso maggiormente in simpatia, non ebbe risposte convincenti.  Anche l’abate fu particolarmente evasivo.

 

Non ci pensava più quando un giorno padre Giovanni, al termine del lavoro nell’orto, lo invitò a seguirlo conducendolo in biblioteca, dove si diresse verso le sedute del coro;  qui giunto, esercitò con le mani una pressione su un lato di una di queste, facendola ruotare fino ad aprire uno spazio abbastanza largo per passarci. Entrarono in un corridoio ai lati del quale stavano grandi armadi metallici. Ancora qualche passo poi, padre Giovanni, prese a scendere  una piccola scala che li condusse ad una stanza sottostante. L’ambiente, che non aveva finestre, era ampio e conteneva alcuni tavoli sopra i quali giacevano, aperti, diversi volumi.

 

Il monaco, iniziò a pulirne dolcemente uno indicando ad Alberto Aspesi di fare altrettanto. Dopo qualche minuto di silenzio,  il nostro esplose in “Ma allora ci sono!”, “Cosa?” rispose il monaco “I libri!”, “Ne dubitavi?” “Mah! Anche in chiesa non ho visto né il messale né i vangeli”, “Li teniamo qui.” proseguì il monaco riponendo il volume, “Ma perché?” “ Sono originali, anzi meglio, non sono autorizzati”, “Non sono autorizzati? I messali, i vangeli?” “Oggi tutti i libri devono essere autorizzati! Noi preferiamo andare a memoria, piuttosto che leggere libri riscritti a seconda delle convenienze. Comunque avrò il tempo per parlartene, se vuoi”.  Ad Alberto non parve vero.

In quei tempi strani, dove anche la storia veniva riscritta,  i libri circolanti dovevano essere “autorizzati”o,  per meglio dire, il potere di turno provvedeva a nuove stesure secondo le esigenze del momento, tanto gli autori ormai morti non avrebbero potuto lamentarsi e quelli vivi non potevano che stare in silenzio.

I monaci, seguendo la loro antica missione decisero di opporsi a questa barbarie. Costruirono un con sistema di pareti, una seconda biblioteca dove occultare le migliaia di libri che possedevano.

Forse era questa “l’origine” della quale raccontava Batano, o forse no, per Alberto Aspesi non era importante che lo fosse, era fondamentale sapere che esistevano un altri pensieri.

 

Nei giorni successivi, proseguì ad accudire i libri, ricavandone la possibilità di  leggerli con tranquillità. Nei libri di storia trovò per la prima volta parole come Shoa, Resistenza, Fascismo, P2, che non aveva mai sentito. Passò dopo a quelli di poesia. Alcune rime gli entrarono nell’anima in modo lancinante, come quella che, parlando di corse e di aquiloni, concludeva con

 

…Meglio venirci con la testa bionda,

che poi che fredda giacque sul guanciale,

Ti pettinò co' bei capelli a onda tua madre...

adagio, per non farti male.

o l’altra che iniziava con

Alto lassù

tutto il giardino è luna,

luna di oro.

Ma più dolce è sfiorare

la tua bocca nell’ombra.