Nella vita di ognuno ci sono dei giorni nei quali la necessità di ripensare al passato si fa stringente,  dove cercando di riannodare ogni filo di quanto vissuto, distilliamo la forza e la lucidità per affrontare un futuro che appaia quanto mai incerto e confuso.

Alberto Aspesi stava vivendo uno di questi giorni, mentre seduto sul letto davanti ai cassetti del comò  rimuginava sul proprio domani. Le ultime ventiquattro ore, erano state per lui uno spartiacque.

Aveva iniziato la giornata ricevendo una piccola lettera, tre righe, nella quale la società di trasporti, nella quale lavorava come precario, gli comunicava il licenziamento alla scadenza del contratto. Richiese chiarimenti, o meglio una qualche speranza, al suo ormai, ex capo, questi se la cavò con alcune frasi di circostanza “Vedrai sei giovane e bravo, troverai qualcosa…non dubitare, noi vedremo come aiutarti…non ti abbattere, animo…”, poi con un rapido e frettoloso “Arrivederci!” gli dimostrò tutta l’inutilità  di quelle parole.

 

Tornando a casa, rimuginava sui mesi che avrebbe trascorso a cercare uno straccio di lavoro e, soprattutto, su come avrebbe raccontato il fatto ai suoi. Non sapeva da che parte rifarsi. Come aprì la porta, fu assalito da un vociare inarticolato che proveniva dal televisore, davanti al quale era radunata la famiglia al completo. Al solito stavano guardando l’ennesima puntata di “Tutta rifatta!”, una gara tra bellone sculettanti,  in cui il premio era costituito da un intervento di chirurgia estetica da eseguire su una parte del corpo indicata da una supergiuria. In quel momento, stavano festeggiando la quarantesima vittoria di sua moglie Nancy Pelosi.

 

Provò a dire qualcosa “Buonasera…dovrei dirvi…sentite…mi è successo che…” fu sommerso da un unico “No, adesso no!” proveniente da otto bocche spalancate all’unisono. Sarà stato il magone che si portava dietro, sarà stata la voglia di sfogarsi, Alberto Aspesi, con calma glaciale prese il televisore e lo gettò dalla finestra, senza, per fortuna, fare altri danni.

La riunione del consiglio di famiglia fu subitanea e la condanna immediata. Da capofamiglia che era, fu retrocesso a cugino di terzo grado. Ormai usava così, in ogni famiglia i ruoli potevano essere riassegnati  con un voto della maggioranza dei suoi componenti.

 

Era una pratica quella che aveva avuto inizio quasi per gioco, prima con una trasmissione nella quale tra sei o sette sfaccendati si doveva scegliere il migliore. Il migliore di cosa non era dato saperlo, ma in qualche modo, votazione dopo votazione, uno lo si riusciva ad eleggere. A questa ne seguì un’altra che si svolgeva in una falsa isola in un falso mare  caraibico.

L’idea ebbe un successo tale che finì con l’influenzare le attività delle istituzioni, della cultura, delle famiglie. Anche in quei contesti si finì con per votare su tutto sempre, determinando  così assetti ed indirizzi mutevoli. In pratica si attuò un sondaggio permanente, dove chi vinceva prendeva tutto. Riscrissero, così anche la storia.

La situazione creò qualche imbarazzo legale, ma stimolò una competizione continua tra tutti e questo, secondo alcuni, non poteva essere che un bene. Gli stessi guardiani della morale, che dai tempi di “ Volete Gesù o Barabba?” conoscevano il meccanismo e ne avevano tratto discreti vantaggi, furono d’accordo. Dall’estero ci guardarono, al solito, come i consueti bambinoni mai cresciuti, ma il turismo ne trasse giovamente, la nazione fu felice.

 

Alberto Aspesi, aperti i cassetti del comò, iniziò a riempire un piccolo zaino; dove andare, anzi tornare, lo sapeva già: il piccolo paese della sua infanzia posto al centro del deserto di Accona. Lì avrebbe ritrovato anche il filo con le favole che Batano, un vecchio barrocciaio che frequentava casa sua, era solito raccontare. Avvertiva un’insopprimibile voglia di leggerezza.

Partì ricordando i viaggi sul calesse di Batano tra calanchi e biancane, con le case coloniche poste lungo le strade bianche, i cipressi svettanti che ne indicavano il percorso, la poderosa abbazia che lo aveva affascinato ed intimorito con quel suo castelletto quadrato posto a difesa dell’entrata e le storie che quell’amico gli raccontava. Ne creava di continuo quasi dal nulla, da una farfalla che passava, da una torre merlata, da un fumo in lontananza. Una cosa ricordava bene, tra tutte, in ogni storia Batano affermava con forza che nel deserto di Accona, era riposta l’origine dell’uomo.

 

Giunse al paese, in una serata frizzante di un settembre che preannunciava ancora dolcezze. Vi era molta agitazione nella cittadina dove si correva l’annuale corsa degli asini. Tutti ne erano coinvolti. Non c’era casa, balcone, finestra che non recasse i segni della propria contrada, ed in quel mare di colore e di canti, Alberto Aspesi incontrò una fraternità che credeva ormai persa.