Non lasciatevi ingannare dal nome dell’autore. Si tratta di uno pseudonimo maschile che nasconde una autrice femminile. Più precisamente Zenith Jones Brown, undicesima figlia di un pastore della Chiesa Episcopale a dimostrazione che i pastori (quelli della Chiesa Episcopale, almeno in questo caso) non stanno tutto il santo giorno a sciorinar rosari. Mi riferisco a I delitti di Hammersmith di David Frome, Polillo 2009.

“In una sera di inizio gennaio, passando dal suo ufficio di Scotland Yard prima di rincasare, l’ispettore capo Debenham trova una lettera ad attenderlo. Nella busta, imbucata quel pomeriggio nel quartiere londinese di Hammersmith, c’è un messaggio anonimo “ Stanno assassinando un uomo al 60 di Caithness Road”. Quando l’ispettore Bull viene mandato sul posto, è già troppo tardi: un giovane di trent’anni è appena morto. Il decesso, in realtà,  sembra causato dal tetano, dunque come si spiega l’avvenimento? C’è una possibile connessione tra il fatto e il furto della borsa di un medico, contenente veleno e una coltura di germi letali, avvenuto davanti all’ufficio di una delle due sorelle del giovane? Inoltre il padre era morto solo due mesi prima investito mentre attraversava Trafalgar Square. Un’altra coincidenza?…”.

E perché, aggiungo io, è stato mandato quell’avviso a Debenham? Ecco pronti tutti gli ingredienti per un giallo che si rispetti. A fare il lavoro grosso, cioè ad andare in giro per le opportune verifiche e gli opportuni interrogatori abbiamo l’ispettore J. Humphrey Bull, alto e massiccio ma anche “estremamente delicato”. Una specie di grosso cane, un sanbernardo. Occhi celesti, capelli castano chiari, baffi rossicci. Poca logica, grande intuito. Suo compagno di lavoro Mr. David Pinkerton “un ometto grigio fasciato da un vecchio completo grigio, insignificante sotto qualsiasi punto di vista”. Sposato con una moglie sciatta e nervosa. Povero in canna va al cinema una volta al mese. Ma sarà proprio questo ometto insignificante a diventare il protagonista principale dei futuri lavori della nostra Brown. Come a dire non lasciatevi ingannare dalle apparenze. Qualche spunto su Debenham per completare il trio. Lo becchiamo a teatro a vedere “Murdered for a song” con moglie e figlia. Trent’anni di lavoro alle spalle arriva nel suo ufficio “angusto e scalcinato” a qualsiasi ora del giorno. Ascolta con pazienza il suo sottoposto, si batte la matita sulla fronte, tamburella con la pipa sul tavolo, sorride un po’ spazientito e insomma non fa il classico tubo.

Dubbi, tormenti, supposizioni che si insinuano nell’animo di Bull (si innamora pure), stanze buttate all’aria, inseguimento finale. Prosa “tranquilla” con andamento piuttosto lento. Il capolavoro di Frome che mantiene intatta la sua dignità anche dopo tanti anni.

 

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