I commensali ora apparivano però più scossi. Nonostante ciò, quel brodo corroborante e quei deliziosi cappelletti, che preparavano i palati alla squisitezza del tacchino, ben presto fugarono gli ultimi riottosi pensieri e i dubbi su quello scherzo di dubbio gusto. E già tutti si beavano dei cappelletti e del brodo, e ogni tanto nella litania dei cucchiai affondati e portati alla bocca si udiva qualche risucchio, che…nuovamente un rullo perentorio di timpani riannunciò con fracasso il ritorno del Dies Irae: nuovamente tutti si voltarono indietro, e di nuovo, altrettanto come prima, la musica quasi immediatamente finì.

Tutti si rivoltarono, e fu allora che il cugino d’oltreoceano, quello che aveva fatto fortuna coi computers, l’Emilio, stramazzò con un rantolo, piombando con la faccia nel piatto, schizzando il brodo sulla tovaglia ricamata e sulle persone dei commensali a lui vicini.

-Di nuovo! Ma è fissato, allora – esclamò la zia Adelina.

-Cugino, cugino, state bene?

-Porca miseria, come s’è ingozzato!

-Non gli sarà mica andato un cappellone di traverso?

Erano voci che si rincorrevano, finchè un temerario, proprio Gregorio, il padrone di casa, facendosi coraggio e non avendo avuto risposta da Emilio, alle sue domande sul fatto che si sentisse o meno bene, ne prese il polso, lo tastò e poi sollevò dal piatto il volto arrossato: lo sguardo stralunato e la bocca spalancata non davano adito a dubbi.

-E’ morto. Stecchito!

-Morto? Ma..ne sei sicuro? Forse sta solo fingendo.

Dai cugino, finiscila: li conosciamo i tuoi scherzi!

Ma quello non si muoveva.

Gregorio pensò bene di ricorrere a qualcuno che se ne intendesse: sopra a lui abitava un medico, che lavorava alla Clinica di Anatomopatologia del Policlinico cittadino: sperava che quella sera, fosse stato a casa e non fosse stato ospite a casa di amici o in clinica, giacchè era vedovo e senza figli e senza parenti prossimi, che lui sapesse.

-Zio Gioan, per piacere vai sopra, dal mio inquilino soprastante, il dott. Sattalini: chiedigli di scendere subito.

Un suono di passi felpati fece capire allo zio Gioan, salito subito, che qualcuno stava arrivando alla porta. E poi, dopo che qualcuno ebbe sollevato l’occhio di Giuda, e che chiese chi egli fosse, Gioan si qualificò come il signor Cera, cugino del Dott. Gregorio Cavaliere, abitante nell’appartamento sottostante.

-La disturbo dottore? E’ questione di vita o di morte: potrebbe scendere immediatamente da noi?

Il dottor Egidio Sattalini, che dimostrava molto più dei suoi cinquantacinque anni, pensando che in fondo quel signore che abitava giù, non gli aveva mai dato problemi; e che anzi, quando lui talora suonava il pianoforte a mezza coda, anche a ore non proprio gentili, per esempio a tarda sera, quel signore non si era mai lamentato, anzi talora incontrandosi per le scale avevano discusso di musica classica e dei notturni, che lui eseguiva più spesso di altro.

Scese subito dopo.

Fu condotto nella sala da pranzo, dove tante persone erano visibilmente tese. Intravide poi un corpo abbandonato sul divano.

-Lo abbiamo sollevato e deposto qui, così lei può esaminarlo più agevolmente.

Il dotto Sattalini lo esaminò. Poi, rialzando il capo, disse:

-Qui non c’è bisogno di un medico, ma di un prete: è proprio morto! Io azzarederei un qualche avvelenamento. Cosa stava mangiando?

-Cappelletti in brodo. Ma non è possibile quello che lei sta affermando, perché tutti noi li stavamo mangiando. E se fosse stato vero quello che ha detto, allora tutti, uno per uno, avremmo rischiato di…

Quelli che stavano ancora mangiando smisero, e chi aveva smesso non osò riavvicinarsi a tavola; anzi, come capita in situazioni come queste, la Mariannina e la zia Ambrogina, si sentitono male. Fatto sta che il dott. Sattalini dovette avvisare la Polizia, che in uno stabile affacciato a Piazza Roma, durante il cenone della Vigilia di Natale, un tale era stramazzato sui cappelletti, presumibilmente avvelenato.  

                                                                                                                                                                Il settantatreesimo cappelletto

 Quindici minuti dopo, a casa Cavaliere, arrivò una squadra di poliziotti comandati dal Vice-Commissario Lessona, un tipo che Gregorio conosceva bene.

-Come va, Gregorio? E’ parecchio che non ci si sente. Che fai di bello?

-Lavoro in una piccola casa editrice che si occupa di fumetti, la “C.,C. & C. Comics Press”.

-Cosa? Lavori per quelli che pubblicano fumetti quasi hard?

-E tu che ne sai? Poi vide spuntare dalla tasca esterna del soprabito un lembo di copertina e capì.

-Ma..ti passa male?

-Anche a te, vedo. E ammiccò in direzione della tasca.

-Non è come pensi, è un giornaletto che ho trovato. Piuttosto..come mai lavori lì? Pensavo che con la tua laurea avessi trovato lavoro in qualche casa editrice importante!