Per Sanantonio non ho trame. La pagina bianca è lo schermo sul quale la mia immaginazione proietta le sue immagini. C’è una pizza da film nella mia testa. Si srotola ogni mattina e io sono curioso di vederla quanto lo è il lettore.

Quando ho letto queste parole mi sono subito detto che sembravano pensate appositamente per questo articolo. Non ha trame, Dard, per il suo Sanantonio. Lo dice in modo chiaro. Ogni giorno si siede – presumo in una comoda poltrona, chissà – e le storie arrivano così, in maniera quasi magica. Un flusso ininterrotto di immagini che l’autore vede per la prima volta, lettore egli stesso di quello che andrà a scrivere. Non ha trame, dicevamo, ma la vita le ha eccome. E il caso ha voluto che quello che gli eventi avevano in serbo per l’autore, venisse in qualche modo proiettato su quell’immaginario schermo bianco che Dard ogni giorno osserva con tanta attenzione.

E così può accadere che l’autore stia scrivendo la storia di un altro scrittore, un certo Charles Dejallieu, al quale a un certo punto rapiscono Dora, la figlia. Ed è a metà stesura del romanzo che vita e finzione letteraria entrano in contatto e le vicende che sconvolgono l’esistenza di Frédéric Dard assumono dimensioni assai più concrete di quanto non avesse mai immaginato nell’elaborare la trama del suo libro. Una scoperta oltremodo dolorosa quella di sapere che la propria figlia, Joséphine, così come stava scrivendo egli stesso – immaginando il tormento di un altro scrittore, seppure di pura invenzione – era stata rapita.

Attingendo all’introduzione dell’autore stesso al libro, riportiamo una significativa testimonianza:

Avevo previsto la realtà? L’avevo sentita? Insomma, si tratta di un caso o di premonizione? Oppure è la realtà che si è inserita nella mia invenzione? Ma dopotutto, dov’è la differenza?

Eccolo di nuovo, direttamente dalle parole di Dard, quel filo invisibile che unisce finzione e realtà. All’inizio ho suggerito che un buon romanzo deve saper condurre il lettore attraverso un velo di reale che possa dare quel qualcosa in più che ognuno cerca in una narrazione. Mi viene da pensare che in questo caso si sia andati oltre e che quel velo auspicato sia invece una coltre attraverso la quale rimane difficile scindere gli elementi della trama, la narrazione dall’esperienza.

Parallelo che assume connotati incredibili se riflettiamo su quanto di più caro al mondo avesse Frédéric Dard: la famiglia e la scrittura. E allora, questo sovrapporsi di ruoli tra vita e mestiere sembra un gioco beffardo pilotato da chissà quale immaginaria divinità. I più maligni avranno pensato chissà cos’altro legato a questi accadimenti. Ed è vero che anche se dietro alle vicende meno sibilline c’è sempre chi è pronto a pensare male, figuriamoci in questo frangente dove abbiamo un caso che presenta non una, ma una serie di strane coincidenze che sembrano costruite a beneficio dei più dubbiosi.

Prima di entrare nel dettaglio della storia vorrei però riportare alcuni dati, per favorire un atteggiamento non troppo condizionato dai mal pensieri – legittimi quando si parla di misteri, e qui lo stiamo facendo. Frédéric Dard, conosciuto come abbiamo detto soprattutto grazie alla produzione firmata con lo pseudonimo Sanantonio, è stato senza ombra di dubbio uno scrittore di grande successo. Lo è stato certamente in Italia, dove i suoi libri hanno registrato ottime vendite per un totale di oltre 100 titoli pubblicati – a partire dal 1970 –, ma ancora di più nel suo paese, la Francia, dove il numero delle ristampe è impressionante. E non stiamo neanche a menzionare le trasposizioni a fumetti e cinematografiche, con l’ultimo lavoro che tra i protagonisti vede anche il grande Gérard Depardieu nella parte di Berù e la nostra Valeria Golino. Alcuni titoli di giornale, nel 2000, al momento della sua morte, addirittura lo salutarono come il più grande scrittore di gialli dopo Simenon.

Ora, non è il caso di entrare nel merito di simili celebrazioni né tantomeno di fare classifiche. Rimane il fatto che Dard, dall’alto del suo successo, non sembrava nelle condizioni di dover mettere in piedi un qualcosa di così artificioso. I suoi romanzi non dovevano essere “spinti”.

Dobbiamo quindi credere a una serie di fortuite coincidenze? Non è facile estirpare il dubbio dalle nostre menti, ma almeno possiamo fare uno sforzo, visto che le vicende legate al rapimento della figlia dell’autore non finiranno di sorprenderci.

Semplifichiamo il tutto, portando alla luce gli altri dettagli.

Abbiamo detto della prima, incredibile coincidenza. Dard sta scrivendo un libro che parla di uno scrittore e la figlia di questo viene rapita. Fino qui, avevamo fatto chiarezza, anche se una precisazione va fatta e proprio per questo richiamiamo alla mente l’immagine di Charles Dejallieu che “ha un’impercettibile esitazione perché Dora non è figlia sua, ma di Mélancolia”. E poi: “Ma chi può interessarsi a una sfumatura simile?”. Lo facciamo noi, visto che stiamo indagando intimamente tra le pagine di questo romanzo così al confine tra finzione e realtà.

Ora l’elemento aggiuntivo. Aldo Moretti, protagonista negativo del romanzo La finestra in fondo alla strada. “Non è italiano, malgrado il nome. Almeno in linea diretta. È un attore fallito. Buoni inizi nel cinema, subito notati, e poi due insuccessi ancora più notati”. Moretti, con la scusa di un servizio per la televisione riuscirà a entrare in casa dello scrittore Charles e a compiere quello che oramai sappiamo.

Sembra incredibile, ma la dodicenne figlia di Frédéric Dard cadrà nelle mani di un uomo facente parte di una troupe televisiva in visita presso la sua abitazione per un’intervista.

E qui, lo comprendo, quei dubbi che poc’anzi avevamo provato a mettere a tacere, tornano a galla prepotentemente. Sembra di ritrovarsi a leggere un trafiletto di giornale che in quei lontani anni ’80 pubblicizzava l’uscita in Italia del romanzo. Lo riportiamo qui di seguito, integralmente: