È un po’ il sogno di tutti, sedersi a fianco di uno scrittore e cercare di carpire i suoi trucchi, di assorbire parte del suo talento, di mettere a frutto la sua personale esperienza. Una delle autrici che gentilmente si è prestata a condividere con noi il talento, passione e capacità è Patrizia Debicke van der Noot abituale frequentatrice del nostro Rinascimento e ala portante del romanzo storico tutto italiano, capace con i suoi libri di regalare sempre al lettore grandi emozioni.

Patrizia benvenuta nel nostro angolino e mentre ti ringraziamo per le belle storie che hai sempre saputo raccontarci, ora vogliamo sapere come fai. Dunque immagina di avere davanti a te un autore esordiente, qualcuno che, insomma, ha bisogno di consigli perché solo ora si sta cimentando con oneri e onori di questa attività, a cavallo tra passione e una professione. E partiamo proprio da qui: la scrittura per te è più un lavoro o una passione trascinante?

Direi le due cose. Una passione trascinante perché ho scelto di farlo, ho voluto farlo, addirittura la considero quasi una mia seconda vita e persevero caparbiamente. Ma anche un lavoro perché avendo sempre lavorato affronto la scrittura allo stesso modo: con metodo e disciplina, incollata al computer per ore e prefiggendomi mete precise.

Come e perché e soprattutto “quando” hai deciso di cimentarti con la scrittura e da dove esattamente è cominciato questo percorso? E da dove secondo te dovrebbe cominciare un esordiente?

A scrivere davvero, ho cominciato nel 2000, dieci anni fa. La causa scatenante è stata un’ernia del disco che mi ha imprigionato tra letto e poltrona per sei mesi. Dopo un’ubriacatura di televisione e film ho tirato fuori idee e appunti che da anni tenevo nel cassetto e via… Spesso gli esordienti usano spunti autobiografici. Cosa abbastanza logica. Meglio cominciare da un argomento che piace e sta a cuore, è più facile. Poi cercare di mettere a punto lo stile. Un buon libro in merito può aprire il cammino, ma certo all’inizio un corso di scrittura allarga le idee e sgombra il terreno dagli eccessi inutili. Ma le idee e la fantasia sono cose che non si insegnano.

È vero che, quando si decide di scrivere, la scelta forse più drammatica è quella di scegliere o privilegiare un determinato stile tra i tanti possibili, decidere insomma in quale marcia intraprendere questa nuova avventura, a quale registro narrativo dare la preferenza?

Per me addirittura all’inizio la scelta è stata in quale lingua scrivere. Negli ultimi anni avevo usato molto il francese, ma ho scoperto presto che funzionavo meglio con l’italiano. I ricordi del ginnasio erano ancora validi e gli anni spesi a fare il relatore di ricerche di mercato (il mio ultimo lavoro) mi avevano insegnato una certa capacità di sintesi. Ma come dici tu, bisognava scegliere uno stile. Soprattutto all’inizio mi sono servita di frasi brevi che fossero facilmente leggibili. Registro narrativo? Ho spaziato tra thriller, saghe familiari per poi approdare con soddisfazione al romanzo storico o storico thriller d’avventura, un po’ alla Dumas, dei miei L’oro dei Medici, La gemma del cardinale e L’uomo dagli occhi glauchi, pubblicati con Corbaccio.

Anche perché in fondo ci può anche piacere, come lettori, un determinato stile o un determinato autore, ma non è detto che sia cosa saggia per noi, come scrittori, emulare proprio quello. Potrebbe essere meglio, forse, utilizzare lo stile che più ci si confà e che maggiormente ci somiglia. O quello, semplicemente, col quale siamo in maggiore confidenza e che abbiamo maggiori probabilità di realizzare al meglio. Dopotutto la scrittura, ancor prima di essere arte, è un mestiere artigianale, non potremmo rendere bene se utilizzassimo uno strumento che per noi è sbagliato. Allora forse sarebbe preferibile recepire da ogni autore che abbiamo amato determinati insegnamenti e trasformarli, unirli, emulsionarli, reinventarli creando a nostra volta una cifra stilistica vera e propria, tutta nostra?

Forse un autore al quale mi piace fare riferimento è Ken Follet, avventura, intrigo, storia e il gusto di intrattenere i lettori coinvolgendoli nelle trame. Ma non basta. Amo Dumas, Tolstoi, Stendhal, Maria Bellonci e tanti altri. Forse da ciascuno di loro… Ma poi quello che conta veramente è riuscire a raccontare delle storie interessanti.

Una delle fasi più delicate nel processo di genesi è forse quella della creazione di un personaggio che non sia uguale a nessun altro ma che, al tempo stesso, non sia troppo eccentrico o sopra le righe al punto di non sembrare vero. Poiché il primo requisito di una narrativa efficace è proprio la credibilità. Oppure no?

Credibilità, giusto! La verosimiglianza è essenziale nel caso di personaggi inventati, mentre, quando si utilizzano personaggi reali, cosa che io faccio spesso nei miei libri, l’essenziale è che si muovano e parlino in modo plausibile.