Non si può non terminare una carrellata senza citare il panorama italiano di autori promettenti o interessanti, colleghi o concorrenti che siano. Chi ti sentiresti di segnalare perché ne ammiri la stoffa, o perché magari ti sei trovato a invidiare qualche passaggio, qualche intuizione o qualche trovata particolarmente felice?

Non voglio sottrarmi alla domanda, ma nemmeno essere ingiusto nei confronti di qualcuno, buttando giù un elenco a casaccio. Fatta esclusione per l’editoria a pagamento, tutte le altre collane esercitano sugli autori presentati quel minimo di controllo tale da assicurare quasi in tutti la presenza di un’idea, un personaggio, una storia degni di essere raccontati e soprattutto letti. Per esempio sia il Giallo Mondadori che la Hobby&Works,o la Gargoyle tanto per citare i primi nomi che mi vengono in mente, stanno presentando una serie di nuovi scrittori interessanti, e da cui c’è molto da imparare.

E a questo punto corre l’obbligo, finalmente, di esaminare quali sono le criticità e quali invece i vantaggi del filone storico. Paga o non paga compiere un simile sforzo, e il periodo di riferimento deve essere particolarmente familiare all’autore oppure, come fu per Salgari, basta documentarsi a sufficienza per essere credibili? O sotto a tutto questo ci deve essere una vera passione per la storia, perché la formula chimica funzioni? Insomma per scrivere un romanzo storico basta la volontà (o la scelta di calcolo) oppure, neanche tanto in fondo, necessita la passione con la P maiuscola?

L’anno scorso mi hanno chiamato all’università di Perugia, per un convegno appunto sul giallo storico. Ho intitolato il mio intervento “Il set della morte.” Volevo dire né più né meno che in romanzo storico la storia è esattamente quello che è un set nel cinema: uno sfondo, una quinta su cui agiscono i personaggi. Deve “sembrare” vera nell’inquadratura, non “essere” vera. Attenzione però, questo è il difficile! Hai mai notato quanto appaiono povere, e soprattutto “false” quelle fiction girate per esigenze di economia in un luogo reale? Come i peplum degli anni ’50 ripresi tra le rovine di Ostia antica o a Pompei? Lo scrittore deve esercitare sul dato storico un’operazione analoga a quella che è l’elaborazione elettronica dell’immagine nel campo del cinema. In sostanza fare diventare “vero” quello che è vero. È per questo che noi troviamo ancora affascinanti Salgari e Hugo (pieni di errori storici) rispetto a tanti altri anonimi narratori, precisi nella ricostruzione fino all’ultimo bottone ma freddi nella narrazione.