Il mistero della cassa scomparsa di R. Austin Freeman, Mondadori 2016.

Un inedito. Diciamo subito che non è cosa da poco. Tra l’altro di un grande autore (applauso a chi lo ha voluto e a chi lo ha tradotto).

Alla stazione di Fenchurch Street. Una cassa di legno cerchiata di ferro, sull’etichetta Dobson, proprio il nome del di chi la sta richiedendo ma con il numero sbagliato. Non è la stessa cassa contenente, tra l’altro, dei beni per un valore di migliaia di sterline. Qui, invece, c’è…viene sollevato il coperchio e Dobson quasi senza fiato “Dove posso trovare un poliziotto?”, dopodiché fugge via senza farsi rivedere. Nella cassa c’è la testa, e solo quella, di un uomo (in seguito si verrà a sapere che è pure imbalsamata).

Nel frattempo sono arrivate due persone, un americano ed un inglese che corre a chiamare la polizia. Da qui ha inizio il “caso” sorprendente. Basato, sia sul mistero della cassa scomparsa, sia sulla rivendicazione di Christopher Pippet (l’americano con giovane figlia e sorella) pronto a rivendicare il titolo nobiliare di conte di Winsborough. In pratica sembra che suo nonno Josiah Pippet, gestore di un pub nella City di Londra, sarebbe stato solo un nome fittizio per nascondere l’identità del suddetto conte che appariva quando spariva l’altro e viceversa.

Poi si passa nella casa del nostro dottor Thorndyke (non c’è bisogno di presentazione) dove troviamo l’amico Brodribb, il sovrintendente Miller, l’assistente di laboratorio Polton e il dottor Jervis che racconta questa parte della vicenda. Brodribb  è il procuratore legale del conte di Winsborough ed esecutore testamentario il cui erede sarebbe il giovane Giles Engleheart. Dunque si prospetta una lotta dura in tribunale tra il poco raccomandabile avvocato Horatio Gimbler, che difende Pippet, e lo stesso Thorndyke che accetta di rappresentare gli interessi di Giles. La cosa più semplice è quella riesumare la tomba del fu Josiah Pippet per vedere se la sua è stata una morte fittizia o meno…  

E qui mi fermo. Praticamente uno scandaglio nella complessa legislazione inglese, un susseguirsi di eventi che si intrecciano con una partita di piombo e di platino sparita da una nave, una serie incredibile di falsi indizi sparsi ad arte nei momenti cruciali, insieme a qualche battuta sull’americano e sui moderni mezzi di comunicazione del tempo.

Raccontato dall’autore e, in parte, dal dottor Jervis che tratteggia, ammirato, la figura del dott. Thorndyke. Ogni tanto si meraviglia delle sue reazioni (quando si dovrebbe emozionare non si emoziona) e si becca pure qualche consiglio come quello “…di considerare questi fatti criticamente, tanto per il loro valore in sé, quanto per la relazione che hanno gli uni con gli altri. Se il mio dotto amico farà questo, credo che finirà per arrivare a conclusioni estremamente interessanti.” Una parola (dico io), e mi immagino Jervis a bocca spalancata.

Anche in questo libro, come negli altri di Freeman, sempre grande attenzione è riservata al metodo scientifico che si avvale dei moderni mezzi di ricerca del tempo, vedi il microscopio differenziale o comparatore, per scoprire trucchi e inganni attraverso dei veri e propri piccoli trattati (relativi alla chimica, alle qualità della polvere, dell’inchiostro, del piombo, del platino, del corpo pittuitario e così via) dentro una storia incredibile, complessa e affascinante delineata lungo una scrittura meticolosa (un po’ di pazienza ci vuole) che si chiude in nome dell’amore. Altrimenti i giovani che ci stanno a fare.

Per I racconti del giallo abbiamo Quello che le cameriere non dicono di Alessandro Marchetti Guasperini.

Una bella ragazza e un signore anziano in un albergo sul lago Maggiore: Diana, ucraina e Lodovico Brogi, ricco industriale. Una cameriera che racconta in prima persona. L’uomo viene trovato morto nella sua stanza, sul braccio uno strano segno come di puntura. Due figli e un certo Marco, belloccio, che se la fa con la nostra svegliotta cameriera. Complice involontaria dell’omicidio. Ma come?…

Testo gradevole, veloce, frizzante.