Il castello dell’arsenico e altri racconti di Georges Simenon, Adelphi 2019.

Dopo Cronaca nera di James Ellroy mi ci voleva un libro gradevole, leggero e riposante. Soprattutto dal punto di vista della scrittura. E allora chi meglio del grande Simenon?

Trattasi di cinque racconti che hanno come protagonista il simpatico dottor Jean, detto anche il “dottorino” a cui capitano dei casi veramente particolari. Vediamoli in ordine…

La pista dell’uomo con i capelli rossi

Il racconto di un uomo dai capelli rossi stravolto, terrorizzato. Di Georges Motte al nostro dottorino. L’incontro con una donna affascinante e misteriosa, il loro appuntamento in una casa. Entra, non c’è nessuno, solo una voce soffocata proveniente da un armadio a muro. Lo apre e un vecchio coperto di sangue  rotola sul tappeto. Tutti credono che sia lui l’assassino, l’uomo dai capelli rossi. Deve salvarlo. D’accordo, ma solo se resta chiuso in casa. Il morto ammazzato è un collezionista di arte al quale sono stati rubati i dieci pezzi più belli e di più alto valore. Ora bisogna scoprire la verità mentre Georges Motte, però, se ne scappa via…

L’Ammiraglio è scomparso

L’Ammiraglio è scomparso in mezzo alla strada in pieno giorno  sotto gli occhi di tutti. Ed era pure grosso, “sui novanta chili e con la pancia prominente.” A metà  di una discesa è sparito. Il nostro dottor Jean si trova sul posto a cercare di risolvere il mistero dopo aver ricevuto una lettera anonima “Ti credi tanto furbo, ma scommetto che non sei capace di trovare l’Ammiraglio.” Scommessa accettata tra soldi che spariscono e soldi che arrivano…

Il campanello d’allarme

“Questo del campanello d’allarme fu forse il caso in cui il dottor Jean si avvicinò di più al famoso “delitto perfetto” tanto caro a tutti i criminologi.” Campanello d’allarme di un treno tirato da una donna che accusa Étienne Chaput di averla molestata. Ma non è vero, dice lui, e ora aspetta impaurito l’incriminazione ufficiale. Il dottor deve salvarlo. Solo che questo Etienne sembra proprio un bugiardo matricolato, il classico “testimone mendace.” Indagine pericolosa tra personaggi che non sono proprio quello che dicono di essere. E si rischia pure la vita…

Il castello dell’arsenico

Il nostro dottorino, appassionato di problemi umani e di enigmi, si trova in un castello “triste e polveroso, logoro, sbiadito, squallido” a fare delle domande precise al signor Mordaut. Ovvero “se è stato lei ad avvelenare sua zia Émilie Duplantet, poi sua moglie Félicie, nata Maloir, e infine sua nipote Solange Duplantet…”, perché sui tre cadaveri sono state trovate tracce di arsenico. Ci si aspetterebbe una reazione quantomeno accesa e invece ecco lì il signor Mordaut, simile in tutto e per tutto al suo castello,  triste e malinconico, a spiegare i singoli casi. Un uomo sfortunato, dice lui. Ma, secondo il dottor Jean che con la memoria sta passando in rassegna gli avvelenatori e le avvelenatrici più celebri, non ce n’è stato uno allegro. Dunque… Di mezzo la classica eredità e arriva un altro morto avvelenato tra i membri della famiglia…

L’uomo delle pantofole

“Da una settimana si ripeteva ogni giorno la stessa scena. Il cliente guardava Gaby con grande dolcezza come un innamorato timido, e si toglieva la scarpa sinistra mentre lei andava a prendere una pila di scatole.” Scatole con le pantofole che lui sceglie solo un istante prima della chiusura. Fino a quando un giorno si affloscia su se stesso. Gli hanno sparato al petto e nessuno, in quel grande magazzino, ha sentito niente! Per la polizia l’opera di un professionista. Urge dare una controllata alla sua abitazione dalla quale si evince che sembra vivere in beata solitudine. Piccolo particolare: ultimamente sul suo conto in banca i versamenti sono diventati molto cospicui, mentre nei grandi magazzini sono aumentati i furti di oggetti di valore. Qualcosa non quadra per il dottorino…

Cinque racconti lievi, leggeri, ironici pur tra morti ammazzati. Un fluire dolce e riposante anche nei momenti di maggior pathos e tensione. Tutto merito di una scrittura precisa, puntuale, ben dosata, senza una parola di troppo a creare un intreccio, un’atmosfera particolare, a sbozzare personaggi che rimarranno vivi con pochi tocchi. Personaggi che spesso sembrano essere quello che non sono. Al centro della scena, senza ingombrare troppo, il simpatico, stravagante, arguto (e chi più ne ha più ne metta) dottor Jean che pensa, rimugina, si immedesima nelle vicende fino all’accendersi della lampadina, fino a scoprire il dettaglio che lo porterà alla soluzione. In contrasto, magari, con il commissario Lucas, tra una buona mangiata e una ricca bevuta di Calvados. E il movente di tanti morti ammazzati è quasi sempre lo stesso: soldi, soldi, soldi come recita una attualissima canzone italiana.