La Einaudi porta in libreria Il rifugio (Broken Harbour, 2012), una nuova serie poliziesca di Tana French.

La trama:

Una famiglia assassinata. Un’unica sopravvissuta al massacro. È il caso più importante dell’anno, e c’è solo una persona in grado di risolverlo: Mick «Scorcher» Kennedy, il detective di punta della squadra Omicidi di Dublino. Per riuscirci, Scorcher dovrà affrontare il male che da troppo tempo si porta dentro.

Patrick Spain e i suoi due bambini vengono ritrovati morti in un complesso residenziale mezzo abbandonato per colpa della crisi. Jenny, la madre, è in fin di vita. All’inizio Mick «Scorcher» Kennedy, incaricato delle indagini, pensa alla soluzione più scontata: un padre sommerso dai debiti, travolto dalla recessione, ha tentato di uccidere i propri cari e si è tolto la vita. Ma ci sono troppi elementi che non quadrano: le telecamere nascoste nell’appartamento, i file cancellati su uno dei computer e il fatto che Jenny temesse che qualcuno fosse entrato in casa loro per spiarli. A complicare il quadro, c’è il quartiere in cui vivevano gli Spain – un tempo noto come Broken Harbour – che riporta a galla ricordi dolorosi del passato di Scorcher.

L'incipit:

Chiariamo subito una cosa: io ero l’uomo perfetto per quel caso. Vi sorprenderebbe sapere quanti dei ragazzi l’avrebbero evitato, se avessero avuto scelta, e io l’avevo avuta, almeno all’inizio. Alcuni di loro me l’avevano persino detto in faccia: «Meglio a te che a me, amico». Il che non mi disturbava nemmeno un po’. Anzi, mi dispiaceva per loro.

Alcuni non amano i casi di alto profilo, dove anche la posta in gioco è alta: troppa copertura mediatica, dicono, e troppe ricadute se non riesci a risolverli. Io non sono così negativo. Se impieghi la tua energia a pensare a quanto puoi farti male, stai già cadendo. Io mi concentro sul positivo, e di cose positive ce ne sono: puoi fingere di essere al di sopra di questa roba, ma tutti sanno che i casi importanti portano promozioni importanti. Date pure a me quelli da titoli cubitali e tenetevi gli accoltellamenti tra spacciatori. Se avete paura dei casi che scottano, restate in divisa.

Alcuni dei ragazzi non ce la fanno se si tratta di bambini, e potrei anche capirlo, se non fosse che (scusatemi se lo chiedo) se non riesci a sopportare un brutto omicidio, che diavolo ci fai nella squadra Omicidi? Scommetto che la squadra che si occupa della difesa dei diritti d’autore sarebbe felice di prenderti a bordo. Io mi sono occupato di neonati, annegamenti, omicidi con violenza sessuale e persino di una decapitazione con un fucile a canne mozze che aveva lasciato pezzi di cervello incrostati sui muri. E dormo benissimo, basta che il lavoro venga fatto. Qualcuno deve pur farlo, e se tocca a me almeno viene fatto bene.

Perché chiariamo subito un’altra cosa, già che ci siamo: io sono in gamba nel mio lavoro. Ci credo ancora. Sono alla Omicidi da dieci anni, e per sette, da quando mi sono fatto le ossa, ho avuto il più alto numero di casi risolti della squadra. Quest’anno sono sceso al secondo posto, ma il tizio al primo ha infilato una serie di colpi facili, omicidi domestici dove l’indiziato si è praticamente ammanettato da solo e si è presentato su un piatto d’argento. Io ho avuto quelli difficili, le storie fra tossici dove nessuno ha visto nulla, e li ho risolti lo stesso. Se il nostro sovrintendente avesse avuto anche un solo dubbio, avrebbe potuto sollevarmi da quel caso specifico in qualsiasi momento. Ma non l’ha fatto.

Questo è ciò che sto tentando di dire: quel caso sarebbe dovuto andare come un orologio. Sarebbe dovuto finire sui libri di testo, citato a esempio di come fare tutto giusto. Secondo ogni regola del manuale, doveva essere un caso da sogno.

Non appena mi cadde sul groppone, dal rumore seppi che era uno di quelli grossi. Lo capimmo tutti. Un omicidio normale arriva direttamente in sala detective e viene assegnato seguendo la tabella dei turni, oppure, se la persona in questione è fuori, al primo che capita; solo quelli grossi, quelli delicati per cui servono le mani giuste, passano prima dalla scrivania del capo, in modo che lui possa scegliere a chi darli. Cosí quando il sovrintendente O’Kelly si affacciò sulla porta della sala detective, mi indicò, disse: – Kennedy, nel mio ufficio, – e scomparve, tutti capimmo.

L'autrice

Tana French è nata negli Stati Uniti nel 1973 ed è cresciuta tra Irlanda, Italia e Malawi. Della sua serie incentrata sulla squadra Omicidi di Dublino, Einaudi ha pubblicato L'intruso (2017), Il collegio (2019), Il rifugio (2020) e Nel bosco (2020). Dai romanzi Nel bosco e il successivo La somiglianza è tratta la prima stagione della serie TV "Dublin Murders".

Info

Il rifugio di Tana French (Einaudi), 656 pagine, euro 22,00 (in eBook, euro 9,99) – ISBN 9788806245221 – Traduzione di Alfredo Colitto