Non c’è dubbio che Il segno del comando abbia lasciato in tutti noi, che leggiamo e scriviamo gialli oggi, un’impronta profonda, pur non essendo strettamente un mystery all’inglese, anzi forse proprio per quello. Seguendo una via che non è estranea a suggestioni gotico romantiche anglosassoni, è un prodotto tipicamente italiano.

La versione romanzata pubblicata prima a puntate e in seguito in un romanzo di Giuseppe D’Agata (che figura con Flavio Bollini, Dante Guardamagna e Lucio Mandarà tra gli autori dello sceneggiato) è purtroppo sintetica e priva di quella magia che interpreti, immagini e musiche hanno contribuito a imprimere nella nostra memoria.

      

È mia opinione, discutibile sinché si vuole ma non del tutto campata in aria, che ci fosse l’idea di riprendere all’italiana il successo di Belfagor il fantasma del Louvre che precede di cinque anni questa realizzazione, che andò in onda nel 1971. Un’idea dicevo, legata alle atmosfere... occulte che reggono una trama che forse ha qualche sbavatura ma ancora oggi si segue con grande fascinazone.

C’è da dire, e in questo mi sento piuttosto sicuro, che anche il mystery e il noir più “matematici” abbiano spesso lasciato spiragli per il fantastico. Cito in proposito il racconto di Cornell Woolrich, Passi che si avvicinano, ripubblicato recentemente in una bella antologia del Giallo Mondadori che tratta di delitti e partiture musicali – Melodie di morte (notizie/5445/) – in cui il racconto non ha una spiegazione logica, ma evoca un’extrasensorialità che poi è figlia del romanticismo gotico, ispiratore anche del giallo classico. Non è un caso alla fine se l’inventore del mystery deduttivo, E.A. Poe, si sia distinto anche per racconti assolutamente fantastici.

Sempre nei romanzi riproposti dal Giallo, ho riletto recentemente uno dei romanzi che da ragazzino mi avevano più affascinato. Il cantuccio della strega di John Dickson Carr (notizie/5435/) che, malgrado ogni spiegazione, traeva la sua potenza proprio dalla suggestione paranormale. Era un po’ gotico anche cinematografico dei tempi. La passione per l’esoterismo, lo spiritismo, le maledizioni avevano (e hanno ancora, credo) un gradissimo fascino sui lettori e spettatori. Non per nulla sempre del ’71, Profondo rosso di Dario Argento trovava nella premonizione e nell’assassinio della medium uno dei suoi momenti migliori.

              

Tornando al Segno del comando, scopriamo Roma attraverso gli occhi di Edward Lancelot Foster (Ugo Pagliai) professore di Cambridge, studioso del romantico Byron del quale sta curando un’edizione commentata di un diario ritrovato in una cantina dei suoi editori inglesi. Tra queste pagine si trovano ambigue allusioni a presenze e luoghi misteriosi incontrati nel 1817, durante il soggiorno a Roma del poeta inglese. E a Roma Foster arriva con un doppio obiettivo. Partecipare a una conferenza in onore di Byron organizzata dal British Council nella persona del sin troppo vanesio addetto culturale Powell e l’invito di un quasi sconosciuto pittore, Marco Tagliaferri, che sostiene di aver trovato un luogo corrispondente a una descrizione byroniana considerata sino a quel momento solo una fantasia.