E’ in libreria dal 27 settembre il terzo romanzo scritto da Louise Welsh dal titolo L’illusionista. In Italia è già stato pubblicato il romanzo La stanza oscura il suo romanzo d’esordio che ha avuto un grande successo in patria vincendo molti premi.

L’autrice in questi giorni, precisamente dal 1° al 3 ottobre era in Italia, così abbiamo approfittato della sua gentilezza per porle qualche domanda.

Fatti i saluti d’obbligo passiamo subito alle domande:

SM – Dalla sua biografia risulta nata a Londra, però afferma di essere scozzese, ci spiega questo piccolo mistero?

R – E’ vero che sono nata a Londra in quanto mio padre era nella Raf. I miei genitori però sono scozzesi e prima ancora che compissi un anno la mia famiglia tornò in Scozia

SM – Abbiamo letto che è laureata in Storia, perchè ha poi scelto di fare la libraia a Glascow?

R – Dopo la laurea, c’era un periodo di forte disoccupazione in Scozia e pertanto non c’erano molte possibilità di trovare lavoro. In effetti avevo fatto alcuni lavori d’ufficio e sapevo che sarebbe stato un disastro per me, perchè odiavo quella vita controllata. Quindi ho iniziato a vendere libri ed ho finito per farlo per otto anni ed era anche un’occasione che mi permetteva di stare sempre vicino ai libri, era un poco come essere un attore che poi finisce per lavorare al botteghino del cinema oppure fare il portiere a teatro. Mi sarebbe piaciuto scrivere ma il quel momento non avevo nè l’esperienza nè la capacità. Forse ho scelto di laurearmi in Storia e non in Letteratura Inglese perchè questo mi avrebbe tolto il gusto della lettura: prima di essere una scrittrice ero e sono una lettrice. Se non potessi più leggere per me sarebbe una catastrofe

SM - Era una sua libreria e che genere di libri trattava?

R – Non ho mai posseduto l’edificio, ma ero io che gestivo questa libreria e vendevo volumi di qualsiasi genere, molta narrativa, libri d’arte, di storia ed anche molti testi universitari in quanto la libreria era situata molto vicino all’università.

SM – Attualmente si è dedicata totalmente al lavoro di scrittrice oppure ha anche altri impegni, e di che genere?

R – Non ho un lavoro permanente, faccio dei seminari ed altro. Mi sento molto fortunata a non avere un vero posto di lavoro, magari non riuscirò sempre a fare così, però non mi piace un lavoro d’ufficio; anche se poi, in verità, passo tutto il giorno alla scrivania a scrivere, ma questo non mi pesa in quanto faccio un lavoro che a me piace.

SM - Nel suo percorso formativo, nella famiglia, negli studi, nel lavoro in particolare è stata ostacolata dal fatto di essere donna?

R – La sua è una domanda difficile. E’ vero che le donne sono pagate meno ed hanno meno opportunità di lavoro ma per me non è stato troppo difficile. Forse è stato molto più difficile diventare scrittrice, per una come me che proviene da una classe operaia.

Io sono stata la prima persona della mia famiglia che è andata all’università e questo ha comportato delle difficoltà sia finanziarie che pratiche, in quanto i miei familiari erano contrari che io frequentassi l’università, perchè non capivano quale fosse l’utilità di ciò. Mi hanno sostenuto, è vero, però pensavano che sarebbe stato uno spreco di tempo, quindi il fatto di provenire da una famiglia operaia ha presentato delle difficoltà per entrare in un mondo nuovo per me. Ma alla fine è andato tutto bene.

SM – Il piacere, la voglia di scrivere, quando ha sentito questa necessità

R – Scrivevo molto da bambina, poi verso i 12/15 anni, dopo la pubertà, ho scoperto che c’erano altre cose interessanti da fare, potevo andare nei pub, girare alla sera e così ho smesso di scrivere.

Solo verso i tren’anni o poco prima, insomma durante o poco dopo l’università, mi ha ripreso la voglia di scrivere. Mi rammarico di quel lungo passato senza scrivere. In quanto in tutto quel tempo avrei potuto affinare il mio modo di scrivere, d’altra parte però ho fatto molte altre esperienze interessanti. Poi ad un certo punto ho sentito dentro di me questa grande esigenza di scrivere, non avevo molto da dire ma volevo scrivere comunque.

SM - Dove scrive, in che tempi e cosa la circonda quando lavora a un libro? Ha abitudini particolari?

R – Non ho abitudini che posso dire particolari, una cosa per me positiva è che posso scrivere anche se c’è del rumore attorno a me. Ho un piccolo appartamento e lavoro nella mia stanza da letto, ho una scrivania vicino alla finestra, una finestra che non riesco a chiudere ermeticamente così, quando scrivo devo tenermi addosso una sciarpa.

Alcune volte mi sembra che le pareti si stringano attorno a me ed allora vado alla biblioteca dell’università, è situata al decimo piano ed io vado al reparto di teologia perchè non c’è molta gente, non è molto frequentato e gli studenti di teologia sono molto silenziosi a differenza di quelli di letteratura o di teatro che parlano molto.

Ho provato anche a lavorare nei caffè, però tendo ad interessarmi alle conversazioni degli altri, non ho bisogno di un silenzio totale ma ho bisogno che non ci siano cose troppo interessanti intorno a me che mi distraggono.

SM – Prima della pubblicazione del romanzo “La stanza oscura”. Aveva già scritto altro, magari rimasto inedito?

R – Non avevo mai scritto un romanzo, ma quando ho cominciato a scrivere “La stanza Oscura” avevo le idee abbastanza chiare anche se ci sono stati poi vari cambiamenti durante il “percorso” però più o meno è rimasto quello della mia idea iniziale.

Avevo scritto molti racconti prima, non necessariamente buoni, ma penso che la voce del narratore si sia sviluppata proprio attraverso questi racconti. E dopo La stanza oscura ho scritto quasi la metà di un romanzo che è rimasto in un cassetto e che non riesco a proseguire ed a concludere; quindi tra un libro e l’altro torno a quello e mi chiedo se riuscirò mai a finirlo.

Penso che ci sia dentro qualcosa che non funziona. Ma sono stata molto fortunata con il primo romanzo perchè evidentemente il tutto ha funzionato.

SM – Quale è stato il percorso che ha fatto per farsi pubblicare il suo primo romanzo?

R – Sono stato molto fortunata in merito. Avevo scritto metà del romanzo e stavo cominciando ad uscire un poco dall’impegno della libreria, volevo fare qualcosa di diverso e sono andata ad una premiazione dell’editore Canongate, vidi che c’era l’editor responsabile di questa casa editrice e una mia amica mi consigliò di andargli a parlare. In un primo momento ho rifiutato ma poi superando la mia timidezza l’ho fatto. Mi sono presentata e gli ho parlato del mio libro, lui mi ha detto di inviargli il manoscritto che è stato accettato. Sono stata molto fortunata da un punto di vista tempistico perchè forse qualche anno prima o qualche anno dopo non avrebbe funzionato altrettanto bene. Infatti in quel momento la casa editrice stava proprio cercando dei romanzi con una trama come la mia.

SM – Era emozionata quando ha visto il suo romanzo esposto in libreria? Come ha vissuto poi il successo che ha avuto?

R – Quando si vede il proprio libro nelle vetrine è una esperienza straordinaria, quasi non ci si riesce a credere, quindi si è molto eccitati, mi sono sentita molto gratificata. Però quando è uscito il mio libro avevo superato i trent’anni, sono anche scozzese ed ho i piedi ben piantati per terra e come ci sono le società con le azioni che possono salire ma anche scendere e che ci ricordano la dura realtà, io ho pensato che poi dovevo scrivere un secondo romanzo. Io continuo a vivere nello stesso appartamento come prima, con gli stessi amici e tutto il resto. Sono molto felice ma nella mia vita quotidiana nulla è cambiato. Bisogna sempre aspettarsi che il successivo romanzo non abbia lo stesso successo del primo.

SM – Il titolo del romanzo “The Bullet Trick” (Il trucco della pallottola) nella versione italiana è diventato “L’illusionista” non le sembra che sia, anche questo, un titolo molto attinente al romanzo?

R – Stavo pensando proprio questa mattina che e’ un ottimo titolo in quanto prende spunto dal tema centrale del mio romanzo, che parla proprio delle illusioni.

SM – Il protagonista William Wilson è un prestigiatore che vive alla meno peggio esibendosi in locali di seconda categoria ecc. ecc. Lavoro e locali che lei descrive molto bene. Dove ha raccolto queste informazioni?

R – Molti anni fa ero andata a Berlino per scrivere un articolo sul cabaret, per scoprire se il cabaret esistesse ancora ed in effetti esiste tutt’ora ed è stata una esperienza interessante. Questa idea è rimasta nella mia mente per molti anni e nel tempo è cresciuta, ed infine è diventata questo romanzo.

Nel mettermi a scrivere questo romanzo ho rifrequentato quegli ambienti ed è stata una esperienza divertente

SM – Nel romanzo ci sembra di scorgere la sua volontà di fare un gioco tra realtà e apparenza; L’illusionista disilluso, dove troviamo che varie cose non sono come sembrano: gli amici più fidati che ti tradiscono; poliziotti duri ed ostili che poi ti salvano. E’ cosi?

R – Si, volevo mostrare che le nostre vite possono prendere molti percorsi diversi e per quanto riguarda il protagonista lui pensa di essere una persona peggiore di quanto in realtà non sia, ha una pessima opinione di se stesso, ma alla fine del libro penso che invece acquisisca maggiore fiducia sia in se che con i suoi rapporti con le altre persone. Per esempio, riguardo al suo vecchio amico di Glascow, che apparentemente ha una vita perfetta, si vede poi alla fine che in tutte le vite ci sono dei problemi; ma ci sono molti modi per cavarsela.

SM – Il suo prossimo romanzo di cosa tratterà?

R – Tratterà di un accademico che sta scrivendo una biografia di un poeta morto affogato negli anni ’60 e quindi fa una ricerca accurata sulla vita di quest’uomo e scopre cose che non si aspettava assolutamente di scoprire. e tra i temi del romanzo c’e’ anche la follia