Percival Everett è un autore quasi sconosciuto in Italia dove sono stati sino ad ora pubblicati solo due romanzi. Il terzo arriva in questi giorni nelle librerie con il titolo La cura dell’acqua.

L’autore, americano è nato nel 1956 a Fort Gordon, il suo è stato un percorso abbastanza inusuale, è passato dal lavoro di bracciante a quello di professore universitario e ha pubblicato in America quattordici romanzi e diverse raccolte di racconti. Il suo carattere eccentrico, il suo stile decisamente innovativo e la sua narrazione genialmente ironica gli hanno meritato il posto importante nel campo della narrativa statunitense.

Attualmente si divide tra l’insegnamento, la conduzione del suo ranch dove vive con la moglie, e la scrittura.

Nel romanzo il protagonista è un uomo tranquillo,  scrittore di romanzi

rosa che firma con pseudonimo femminile, che deve affrontare la perdita della amata figlia di appena undici anni che è stata stuprata e poi uccisa. il dolore e la rabbia sono tali che rapisce il maggiore indiziato, lo segrega nella cantina della sua casa e lo tortura.

Tra le varie torture, è molto particolare quella chiamata “la cura dell’acqua”: alla vittima, immobilizzata ed incappucciata viene fatta colare sul viso dell’acqua e questi avrà la continua sensazione di morire affogato.

Un romanzo duro che in qualche modo ci ha ricordato un film altrettanto duro: “Un borghese piccolo piccolo” interpretato dal grande Alberto Sordi.

 

La “quarta”:

 

Ishmael Kidder è stordito dalla sofferenza: hanno ammazzato la figlia di appena undici anni dopo averla violentata. Incapace di sopportare il dolore, rapisce e segrega nella sua cantina il maggiore indiziato, e inizia a torturarlo. La “cura dell’acqua” è la più atroce delle sevizie a cui lo sottopone: dopo essere stato immobilizzato, Ronnie o W, la vittima, viene incappucciato e gli viene fatta colare acqua sul viso, in modo che abbia costantemente la sensazione di morire annegato.

Forma e contenuto sono inscindibili, come azione e destino: il libro è strutturato come un bloc-notes fitto di riflessioni su linguistica, morale, amore, paternità, morte, vita. Tra dialoghi immaginari di grandi filosofi, giochi di parole, limerick, citazioni occulte da Carroll, allusive illustrazioni bambinesche, virtuosi pastiche linguistici alla Joyce e una scrittura che stritola il lettore e non gli concede nemmeno un attimo di pausa, Everett, esasperando la nevrosi del protagonista, che diventa torturatore, gelido carnefice, mette a nudo l’insopportabile futilità del nascondersi dietro i segni.

Il romanzo è, attraverso metafore e similitudini con diversi livelli di lettura, un esplicito atto d’accusa nei confronti dell’amministrazione Bush. Pure il sogno americano viene fatto a pezzi. Non c’è futuro quando il presente scortica il vuoto dell’anima; nessuna tortura, infatti, appaga e lascia indenne il torturatore, e la riflessione universale che anima la narrazione si innesta nel filone del rapporto vittima-carnefice su cui si sono cimentati scrittori del calibro di Dùrrenmatt e Kafka.

 

La cura dell’acqua di Percival Everett (The Water Cure, 2007, Traduzione Marco Rossari, Nutrimenti, collana Greenwich 4, pag. 194, euro 15,00)

ISBN 978-88-88389-89-9