Mi capita sempre più spesso di ricevere richieste di novelli autori per una recensione dei loro libri. Da una parte sono contento, segno che qualche interessamento questa rubrica riesce a tirare fuori. Dall’altra un po’ mi imbarazza, a dirla verità, perché mi sento responsab ile di un giudizio che attiene solo e soltanto alla mia preparazione e ai miei gusti di lettore. Poi, però, se decido di scriverla questa benedetta recensione, allora dico quello che penso senza farla tanto lunga. Come nel caso di Uno di troppo di Marco Tiano, Il Filo 2008.

Dalla quarta di copertina “In una comitiva di inglesi in viaggio a Firenze si trova Hodel, un fine osservatore, attento ai meccanismi e alle dinamiche dei rapporti fra tutti i suoi compagni di viaggio. Una serena gita diventa lo sfondo di un crimine. Nove persone rinchiuse in un antico castello, intrappolate da una pioggia scrosciante, si ritrovano di fronte al cadavere di una giovane ragazza, con un assassino da smascherare. Tutti sembrano interpretare una parte nel mosaico che va a tessere una pericolosa trama: nessuno si presenta com’è veramente e scoprire la verità diventa quasi impossibile. Ognuno ha un movente per avere ucciso e il viaggio a poco a poco non somiglia più a un semplice divertimento, ma sembra programmato per dar vita a un terribile piano, a un piano escogitato da una mente acuta e calcolatrice, da un traditore con in mente un unico obiettivo: accusare una precisa persona. Ed è proprio quando Hodel si accorge di essereil principale accusato che deve cominciare a indagare sui suoi compagni di viaggio e anche su se stesso…”.

L’aspetto che più colpisce di questo libro è l’esagerazione. Quella stilistica, prima di tutto “Gli occhi si spalancarono, i coloriti si spensero diventando di un pallido quasi accecante e le nostre labbra, ormai bianche, sembrarono far invidia al deserto, assumendo tal secchezza da renderle quasi marmoree”. Oppure “L’annuncio sembrò gettare il mio animo nelle mani della tempesta, che con tutta la sua violenza e forza si ostinava a scaraventare da una parte all’altra, e io, in preda allo stupore, non trovai modo di recuperarlo” e via discorrendo che riecheggiano un gotico ormai superato. E quella del contenuto vero e proprio. Ombre fuggenti, armi, pugnali, archibugi, armature…e poi biglietti, discussioni, pettegolezzi, origliamenti (l’ho coniata io), capovolgimenti di prospettiva, veleni, l’assassino o gli assassini, tabelle orarie, un esasperante "trucco" che ritrovo a ogni piè sospinto (ultimamente anche in Lucarelli e nella Montanari. Si copia dappertutto…). Infine il disvelamento di tutto l’ambaraban nel più classico dei modi con una girandola di spiegazioni, deduzioni e controdeduzioni da far girar la testa (c’è un limite a tutto). Con il botto finale francamente forzato. Non so nemmeno se tutti i tasselli del mosaico combaciano perfettamente. Lascio agli eventuali lettori questo compito. So, però, che questi tasselli sono tanti. Troppi. E il troppo, come dice un noto proverbio, stroppia.

P.S. Consiglio al giovane autore per i suoi futuri lavori di “decimare” stile e contenuto. Come suggerisce anche il ben più autorevole Umberto Eco. Capisco la voglia di voler sbalordire alla prima uscita ma forse è meglio essere cauti. Nello stesso tempo consiglio di non dare ascolto a questo vecchietto rimbambito e di fare un po’ come gli pare.

Sito dell’autore www.libridiscacchi.135.it