Affascinante la storia del sarcofago egizio. Ti s’è conficcato nella mente pari a un chiodo, confessalo: sarcofago egizio – imballato – sigillato - spedito. E’ come se dentro qualcosa ti si fosse svegliato all’improvviso: un progetto archiviato in un angolino del cervello, chissà come, sta per diventare operativo e tutto il resto non esiste più.  

 

Appena tornato a casa aveva deciso che quella domenica mattina l’avrebbe passata al Museo.  Ed eccolo qui; non si nasconde una certa emozione mentre passo dopo passo percorre, al primo piano, il grande corridoio  che accoglie il bronzo etrusco de "La Chimera"; poi a sinistra,  la Sala delle Mummie e dei Sarcofagi e, a destra, alcune stanze buie, chiuse per lavori in corso che vanno avanti da anni, come dichiara il custode. Non c'è porta, solo un pannello appoggiato in corrispondenza dell'apertura, per evitare che il pubblico possa entrare.

Quelle stanze: un occhio nero, invitante, che lui osserva e dal quale si sente osservato. Un luogo perfetto per guardare senza essere visto. Il personale di custodia è scarso e non   presente in ogni sala; aspetta il momento giusto, scivola dietro il pannello perché ha bisogno di fare delle verifiche. Poi, poi potrà dare una dimensione al suo piano; più corretta, equilibrata. Lui è una persona precisa, niente deve essere lasciato al caso. Attende qualche minuto, ora le voci sono lontane. Si dà appuntamento al giorno dopo ed esce tranquillo.

 

 

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Lunedì di pioggia e gelo. Mario entra in ufficio con l’aria pensierosa e non saluta nessuno.

“Che ti sei fatto l’amante al Museo?” Lo blocca subito Cristiano, fra gli stupori di Paola che starnutisce in continuazione e Cristina che quasi non parla per il mal di gola. Mario, colto di sorpresa, aggrotta la fronte e non risponde. Le due donne gli si fanno accanto.

“E’ quella mora, discreta, che viene sempre al tuo sportello, vero?” Insinua Cristina con un filo di voce.

“S’è vista con te al bar.” Rincara Paola.

“Sì”, maligna Cristiano, “e io t’ho visto ieri mattina in via della Colonna. Lei lavora lì, giusto? Il mondo è piccino, caro mio e... ”

E’ bello essere finalmente al centro dell’attenzione! Mario reagisce scherzando.

“E pieno di gente impicciona.”

“Ehh, che permaloso!”

L’arrivo improvviso del capoufficio costringe la compagnia a ricomporsi e solleva Mario da quella scomoda conversazione dandogli l’opportunità di rientrare nell’alveo dei propri pensieri. Lavora meccanicamente, le ore sembrano non passare mai.  

Adesso è solo in ufficio; Cristiano allo sportello, le due donne uscite per la pausa/caffè. Ripassa mentalmente le mosse che farà quella sera. Va nel ripostiglio delle scope, ruba un vecchio fermaporte in ghisa e lo mette nella tasca del giaccone.

 

 

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La campana piccola della Santissima Annunziata batte i rintocchi per la novena. La nebbia nasconde la figura di Mario che sta raggiungendo il Museo. Stasera ha detto ai suoi che va a cena da amici così s’è liberato anche di questo impegno. Concentrazione, ora ha bisogno solo di concentrazione. Per fortuna all’ingresso c’è un gruppo numeroso ed è facile mescolarsi a quello per fare la fila davanti alla biglietteria senza essere notato. Bene, tutto fila liscio.

Sale al primo piano poi, approfittando dell’istante favorevole, sguscia dietro al pannello posto a protezione delle sale chiuse e scompare nel buio.

Ha trattenuto il fiato fino a quel momento e ora, nascosto nell’ombra, si concede un lungo sospiro di sollievo. Nel suo gesto di rito, socchiude gli occhi e si passa le dita fra i capelli lisciandoli dietro la nuca. E’ fatta.

Le ore trascorrono lente. Seduto per terra, con la schiena e la testa appoggiate al muro, gli occhi chiusi, segue con attenzione ogni passo dei visitatori, sorveglia tutti i più piccoli rumori.

Finalmente le luci si spengono. I custodi si allontanano; ancora qualche istante e potrà alzarsi e sgranchirsi un po’: ha piedi e mani gelate e il ghiaccio del pavimento gli ha intormentito il sedere.

A un tratto il cellulare: Cristo, ha dimenticato di spengerlo! Il panico; entra nel panico. Fruga nella tasca del giaccone: no, non è lì; ancora squilla, lo cerca nella giacca, eccolo, schiaccia a caso, sbaglia; ancora uno squillo, dannazione... i custodi l’hanno sentito, stanno tornando indietro, sente passi e voci che si avvicinano. E’ finita!

No, no, uno di loro si blocca:

 “Che bischero”, ride, “ è la suoneria di mia moglie, non l’avevo riconosciuta.  Stamani il mio l’ho messo in carica e ho preso il suo. Però, strano, ha fatto uno squillo e non compare nulla sul display. Boh?  Va’ a capire come funzionano ‘sti cosi.”