Ho acquistato Sherlock a Shanghai spinta da una grande curiosità: sia per il titolo, di per sé già sufficientemente allettante, sia per il sottotitolo: “Il primo investigatore cinese”. Non solo ho ben presente la collezione completa dei manga giapponesi di Gosho Aoyama, delle cui avventure del “Detective Conan” (un successo senza fine dal 1994 a tutt’oggi) mio figlio tredicenne è avido lettore, ma era ancora fresco nella mia memoria il delizioso Feng Shui Detective di Nury Vittachi (2000, trad. Feltrinelli 2006) il cui protagonista, C. F. Wong, risolveva i casi con l’aiuto del fengshui (la famosa scienza orientale che unisce cognizioni geomantiche, architettoniche e divinatorie) ed era definito in quarta di copertina, lo ricordo bene, “uno Sherlock Holmes cinese”. Cos’era accaduto?

A una più attenta analisi, sono emersi i seguenti dati.

Autore: Cheng Xiaoqing. Editore: O barra O, Milano. Data di pubblicazione: 2007, trad. 2009. Come poteva questo “Sherlock” essere precedente all’altro? A questo punto ho controllato le edizioni originali: con mia somma delusione non è apparso nessun titolo in cinese, ma solo due edizioni in lingua inglese: The Feng Shui Detective la prima, tradotta da Anna Mioni; Sherlock in Shanghai. Stories of Crime and Detection by Cheng Xiaoqing la seconda, tradotta da Adriana Crespi Bortolini. Proseguendo nelle indagini, ho verificato che Nuri Vittachi è nato a Ceylon e vive a Hong Kong, mentre Cheng Xiaoqing (nonostante l’edizione originale del suo libro provenga dalla University of Hawaii Press) è cinese d.o.c. ma ha pubblicato i suoi racconti dagli anni ’20 agli anni ’40 del secolo scorso… quindi, se è tutto vero quel che ci racconta Timothy C. Wong – docente di letteratura cinese all’Università dell’Arizona –  nella sua bella Prefazione, spetta  lui la palma del “primo Sherlock cinese”.

Cheng Xiaoqing (1893-1976) viene presentato come il maggior autore cinese di “gialli” (scusatemi lo stupido gioco di parole) in un periodo, quello della Repubblica Cinese precedente la seconda rivoluzione (1912: proclamazione della Repubblica; 1931: Repubblica Sovietica Cinese; 1949: fondazione della Repubblica Popolare Cinese), in cui si voleva far capire i vantaggi dell’osservazione analitica e del ragionamento rigoroso, nell’ottica di una rinascita delle scienze. Dopo mezzo secolo di tentativi per resistere all’Occidente e alle sue incursioni culturali, i cinesi non potevano più fare a meno di voler conoscere l’Europa, i cui libri arrivavano spesso tradotti dal giapponese. E, ora che Shanghai aveva un popolazione pari alla Londra di Conan Doyle, la narrativa poliziesca iniziava esercitare il suo fascino. Così, mediante il processo di “shanghaizzazione” di Sherlock, i cinesi conobbero l’istituzione di agenzie investigative private, prima ignota. Xiaoqing tradusse tra il 1915 e il 1916 gran parte del Sacro Canone e nei decenni successivi scrisse a sua volta numerosi racconti sfidando la difficoltà di trasferire Sherlock Holmes da un ambiente inglese vittoriano a un ambiente cinese repubblicano.

Xiaoqing fece la scelta – che noi approviamo – di non cimentarsi nell’apocrifo ma di creare un nuovo personaggio alter-ego di Holmes, Huo Sang (le cui iniziali sono le stesse del Nostro, invertite), un alter-ego di Watson nei panni del narratore (Bao Lang, definito “dottor Watson d’Oriente”), e una Baker Street dal nome anglocinese, Aiwen Road. Pur rispettando lo stile, l’esame della scena del crimine e la struttura dell’indagine, riuscì a inserire qua e là in modo discreto ma verosimile “pezzi” della sua Cina: una servetta di dodici anni, un domestico che non sa leggere, una partita a mahjong, un vecchio baule di bambù, sacchettini di riso giallo, gru in volo… e ispirandosi al vero Sherlock creò un investigatore dinamico e melanconico, che suonava il violino, diceva “E’ elementare…”, ma allo stesso tempo mangiava con le bacchette, fumava sigarette “Golden Dragon” e usava metafore tipo “sono stato in grado di non sprofondare in una palude” e “i prezzi sono raddoppiati come steli di bambù sotto la pioggia”. D’altra parte, Xiaoqing – che pure non si allontanò mai dalla Cina – ne approfittava per mettere in campo frammenti del pensiero scientifico europeo (Lombroso, Mendel, Lacassagne…) e al contempo coglieva l’occasione per criticare gli incantesimi e le formule magiche, segno del “potere di migliaia di anni di superstizione”, ma citava L’arte della guerra di Sun Tzu, uno dei grandi classici confuciani, risalente a oltre 2500 anni fa…

I racconti che Timothy C.Wong ha scelto e tradotto dal cinese all’inglese, e che sono poi stati qui tradotti dall’inglese all’italiano, si intitolano rispettivamente: “La scarpa”, “L’altra fotografia”, “Lo strano inquilino”, “Il saggio d’esame”, “Sullo Huangpu”, “Occhio di gatto” e “Al ballo”. I più attenti lettori del Canone riconosceranno facilmente i tre che maggiormente si ispirano ai racconti di Conan Doyle, e gli ammiratori di Edgar Alla Poe ne apprezzeranno un quarto, quello che narra il modo in cui Huo Sang e Bao Lang si sono conosciuti; negli altri appare il Moriarty cinese, la Rondine della Cina meridionale. Di più non rivelerò, per non rovinare le sorprese. Basti dire che l’equilibrio che viene a crearsi è perfetto, che i racconti rivelano grazia e misura, che i contenuti e lo stile non vengono mai snaturati. Chi ama Sherlock Holmes, sorriderà; e chi non lo ama, o non lo conosce abbastanza, vorrà forse conoscerlo meglio. E chi sarà un po’ deluso dai toni iper-razionalistici di questo Holmes cinese, potrà andare a riprendersi Feng Shui Detective e consolarsi con indagini poliziesche ugualmente scientifiche, sebbene mescolate alla lettura delle carte e delle stelle.