Tutti pensano di conoscere il famoso Arsenio Lupin, ma molti ignorano che si tratta in realtà di un personaggio letterario. Ebbene sì, il ladro gentiluomo è nato dalla penna di uno scrittore francese, Maurice Leblanc, che inventò questo personaggio nel 1905, ispirandosi alle incredibili avventure di un suo connazionale…

Leblanc nacque a Rouen, in Normandia, nel nord della Francia, nel 1864. Dopo aver abbandonato gli studi in legge, si trasferì a Parigi dove iniziò a scrivere racconti gialli e storie brevi per i periodici dell’epoca. Inizialmente, però, le sue opere non ottennero grande successo. La svolta avvenne con la nascita di Lupin, la cui prima avventura venne pubblicata sulla rivista Je sais tout.

Lupin condusse Leblanc al successo, tanto che lo scrittore decise di dedicare la sua intera carriera esclusivamente a questo personaggio, realizzando una vasta serie di racconti incentrati sulle gesta del ladro gentiluomo.

La caratteristica principale di Lupin, purtroppo spesso trascurata dai cartoni animati e dai film, è il fatto che tale personaggio non sia “soltanto” un ladro inarrestabile, bensì un astuto e intelligentissimo indagatore dotato di capacità di osservazione e deduzione superiori al resto della società. Infatti, per portare a termine i suoi grandi colpi, spesso Lupin deve prima venire a capo di intricati misteri che soltanto lui può risolvere. Insomma, una sorta di Sherlock Holmes in versione criminale. E infatti Leblanc deve molto ai metodi e al carattere geniale e fuori dall’ordinario che caratterizzano Sherlock Holmes.

Anche Lupin, inoltre, ha un suo “Watson”, amico del ladro e narratore delle sue gesta. Ma a differenza dell’originale Watson, non conosciamo il nome dell’amico di Lupin. Fin dal primo racconto, il narratore spiega che desidera raccontare le avventure del geniale ladro, ma non si presenta preferendo rimanere anonimo. Infine, mentre Watson pubblica le sue cronache, il narratore di Leblanc si limita a confidarcele come potrebbe fare un vecchio amico desideroso di intrattenerci con un racconto.

Un’altra caratteristica del personaggio di Leblanc è il suo grande senso dello humor, nonché la sua incredibile abilità di trasformista. Lupin ricorre infatti a superbi travestimenti che gli consentono di cambiare identità e interpretare personaggi completamente diversi gli uni dagli altri a seconda dell’occasione. E naturalmente è un vero gentiluomo: preferisce non ricorrere alla violenza e a volte aiuta i poveri e i bisognosi, destinando il frutto delle sue rapine a fin di bene.

I suoi principali avversari sono l’ispettore Ganimard della polizia francese, destinato ad essere messo molto spesso in ridicolo dall’astuto criminale, e il ben più pericoloso detective inglese Herlock Sholmes, un altro “prestito” di Leblanc nei confronti dell’opera di Sir Arthur Conan Doyle.

In realtà Sherlock Holmes non fu l’unica fonte di ispirazione per Leblanc. Modello vivente per il suo ladro gentiluomo fu Alexandre Marius Jacob, nato nel 1879 a Marsiglia da una famiglia di origine proletaria.

All’epoca Marsiglia era stravolta da conflitti sociali anche molto violenti, che sicuramente influenzarono il giovane Jacob.

A dodici anni si imbarcò come mozzo a bordo di diverse navi e viaggiò a lungo, arrivando fino in Australia, dove decise di disertare, dopo aver conosciuto, secondo quanto lui stesso raccontò, i lati positivi e quelli negativi del mondo, come le condizioni disumane in cui vivevano i condannati ai lavori forzati o gli schiavi.

Provò l’esperienza della pirateria, che abbandonò molto presto perché determinato nel rifiutare i metodi violenti e crudeli dei pirati. Tornò quindi a Marsiglia nel 1897 e iniziò a frequentare gli ambienti anarchici, diventando un entusiasta attivista.

Rimasto invischiato nell’attività di un gruppo anarchico dedito all’uso di esplosivi e all’organizzazione di piccoli furti, fu arrestato e condannato a sei mesi di prigione. Quando tornò in libertà, il suo reinserimento nella società civile venne costantemente ostacolato dalla polizia: ogni volta che trovava un impiego, qualche agente si presentava presso il suo nuovo datore di lavoro… e Jacob veniva puntualmente licenziato. Questa insopportabile situazione lo spinse quindi a prendere una decisione estrema: dedicare la sua vita a quello che lui stesso definì “illégalisme pacifiste” (letteralmente, illegalità pacifista). Abbandonando per sempre gli esplosivi, diventò un ladro geniale e inarrestabile e le sue imprese divennero leggenda.

Si dimostrò sorprendentemente abile nell’arte del travestimento, riuscendo a interpretare alla perfezione molte identità diverse per portare a termine i suoi incredibili colpi che mettevano spesso in ridicolo la polizia francese agli occhi dell’opinione pubblica.

I complici di Jacob erano chiamati “i Lavoratori della notte” e dovevano operare secondo le regole imposte dal loro leader: innanzitutto, evitare il più possibile l’uso della violenza, a meno che non fosse necessario per difendere la propria vita e la propria libertà, e in tal caso soltanto il sangue degli agenti della polizia doveva andare versato. Le vittime dei loro furti dovevano essere rappresentanti dell’ordine sociale che gli anarchici giudicavano ingiusto (industriali, giudici, militari, prelati…). Per nessuna ragione i Lavoratori della notte avrebbero dovuto derubare i professionisti considerati utili o vittime dell’ordine sociale (insegnanti, artisti, medici…).

Pare che durante una delle sue rapine, Jacob si accorse di aver commesso un errore ed essere penetrato non nell’abitazione della sua vittima designata, bensì in quella di un semplice scrittore. A quel punto il ladro gentiluomo avrebbe rimesso ogni cosa a posto, lasciando addirittura un biglietto recante le sue scuse verso il padrone di casa e del denaro per aggiustare il vetro che lui aveva rotto entrando nell’abitazione.

Un’ultima regola di Jacob era quella di destinare il denaro rubato alla causa anarchica e ai più bisognosi, tenendo per sé e i suoi complici soltanto lo stretto indispensabile per la sopravvivenza.

Nel 1899 Jacob venne arrestato e, per evitare cinque anni di prigione, finse di essere pazzo e di soffrire di allucinazioni. Un anno dopo riuscì a evadere dal manicomio in cui era stato rinchiuso grazie all’aiuto di un infermiere e si stabilì a Montpellier, dove riprese la sua attività di ladro. Si stima che fra il 1900 e il 1903 portò a termine, insieme alla sua banda, circa 500 rapine in Francia e all’estero.

Pare che durante i suoi furti usasse un rospo come “palo”, essendosi accorto che questo animale smetteva di gracidare quando qualcuno si avvicinava.

Ma nel 1903 uno dei suoi furti andò a finire male e Jacob e i suoi complici vennero arrestati. Jacob trasformò il suo processo in un vero e proprio comizio in cui sostenne con sorprendenti capacità oratorie e un certo senso dell’umorismo i valori che avevano sempre dominato la sua esistenza.

Venne condannato ai lavori forzati nella Guyana francese, condizione a cui ben pochi sopravvivevano. Molte volte tentò di fuggire, progettando evasioni che sembravano saltate fuori dai più fantasiosi romanzi d’avventura.

Nel 1928 ricevette la grazia e poté finalmente tornare in Francia. Non riprese la vita del ladro, ma iniziò a dedicarsi alla scrittura e alla propaganda delle sue idee di libertà e giustizia. Durante la Seconda Guerra Mondiale non prese parte attiva alla Resistenza contro l’occupazione tedesca, ma fu sempre disponibile a nascondere in casa propria partigiani in cerca di aiuto.

La sua vita si concluse nello stesso rocambolesco modo in cui Jacob aveva condotto la sua intera esistenza. Nel 1954 diede una festa a casa sua, selezionando gli invitati fra i poveri e i bisognosi che vivevano in zona. Alla fine della festa si uccise avvelenando se stesso e il suo vecchio e amato cane e lasciando ai posteri una delle sue famose lettere piene di tagliente ironia.