E' il lavoro della Polizia scientifica che compie un secolo e raccoglie le tappe di cento anni di storia in un libro, presentato oggi a Roma, dal procuratore nazionale Antimafia, Pier Luigi Vigna, e da Piero Angela. Centoventidue pagine per raccontare la nascita della scuola per formare i poliziotti in camice bianco, nel 1903, e la sua continua evoluzione accanto all'evolversi della scienza e della tecnologia, fino ai modernissimi metodi oggi a disposizione della polizia scientifica.

Il libro ricorda le origini della scienza applicata alle indagini di Polizia, nel 1892, in Inghilterra e, attraverso la figura di Alphonse Bertillon, pioniere del segnalamento scientifico, e quella di Salvatore Ottolenghi, assistente di Cesare Lombroso e fondatore della Scuola di Polizia scientifica, arriva fino ai giorni nostri.

Dalle foto d'epoca con i primi strumenti utilizzati nella scuola e le immagini dei vecchi ''cartellini segnaletici'', che aprono il libro, attraverso le conquiste tecnologiche fatte negli anni e la nascita delle diverse sezioni specializzate, si arriva fino alle schede finali sulle tecniche piu' moderne a disposizione dei poliziotti in camice bianco. Si tratta, tra l'altro, della ricostruzione tridimensionale della dinamica di un omicidio, realizzata dall'Unita' di Analisi del crimine violenti, specializzata in delitti particolarmente efferati e senza un movente chiaro, oppure del sistema per il riconoscimento automatico delle impronte digitali (Afis). E ancora, le tecniche per il ripristino delle impronte digitali di un cadavere e tutte le tecnologie per identificare l'autore di un reato attraverso l'esame del Dna.

Ma Polizia scientifica non significa solo omicidi e indagini. Un intero capitolo e' infatti dedicato all'arte. E cosi' si scopre che grazie ai poliziotti specializzati si e' risaliti alle impronte digitali dell'artigiano che ha scolpito la Lupa Capitolina, probabilmente il maestro o uno dei figulini appartenenti alla scuola di Vulca. E poi ancora che il volto della mummia di Harya, che si trova nel museo egizio di Torino, e' stato ricostruito dai poliziotti in camice bianco seguendo le tecniche utilizzate per gli identikit. E che grazie all'intervento della Polizia scientifica e' stato possibile risalire ai testi originari delle lettere redatte da Vittorio Foa tra il maggio del '35 e l'agosto del '43, resi illeggibili dalla censura.