Dico la verità. Il Noir non mi è mai rimasto troppo simpatico. Soprattutto quello di certi giallastri moderni dove schizzi di sangue e sperma si trovano dappertutto come se questo, da solo, bastasse a far conseguire la patente di scrittore. Sono stato, invece, sempre attratto da quei gialli falsamente “soft” che, attraverso semplici tocchi e accenni, riescono a creare sensazioni ben più forti di qualsiasi scena da macelleria. D’altra parte, purtroppo, anche il mystery ha il suo bel rovescio della medaglia e non tutti posseggono l’abilità di Anthony Berkeley per tenere in piedi le famose sei diverse soluzioni di Roger Sheringham e dei membri del Circolo del Crimine. I poveri imitatori non fanno altro che cadere in un vuoto e sterile gioco cerebrale che manda in tilt ciò che è rimasto delle famose cellule grigie di poirottiana memoria. E allora mi corre l’obbligo, per una specie di senso di colpa, di rendere un piccolo omaggio al capostipite del noir nostrano. Quello vero, quello nuovo, quello di estremo impatto emotivo. Quello di Scerbanenco.
Claudia Salvatori su Delos
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