A lui si contrappone l’altro personaggio, altrettanto singolare, del Duca Lamberti che nasce molto tempo dopo nel 1966 con “Venere privata” ristampato ultimamente dalla Garzanti. E’ un momento in cui la situazione del giallo nel nostro paese è piuttosto sbiadita, se non del tutto deprimente. Parlo degli autori italiani che in pratica devono lavorare sotto nomi diversi. Nomi stranieri. Altrimenti “nisba” come si dice in gergo popolare. L’autore italiano non “tirava”, me lo ricordo perfettamente ed anche il sottoscritto se la faceva di nascosto soprattutto con gli americani e gli inglesi senza disprezzare qualche flirtatina alla francese. Ed è un momento difficile della società italiana in continua agitazione. Particolarmente a Milano dove scorrazza la banda Cavallero con rapine alle banche ed omicidi vari. Qui domina la violenza e qui vive e lavora Duca Lamberti. Il protagonista non ha nulla che fare con i soliti poliziotti. E’ un ex medico che è stato radiato dall’ordine perché accusato di avere aiutato a morire una vecchia malata terminale. Per questo si becca tre anni di galera ed è in conflitto con se stesso, sia per la morte del padre, agente di polizia, colpito da infarto dopo avere saputo della sentenza inflitta al figlio, sia nei confronti della sorella sedotta e abbandonata.Vive in una Milano da brivido e se si sommano tutti questi ingredienti non può che venirne fuori insofferenza, rivolta e violenza. Il Duca Lamberti è tutto questo. E anche di più. Perché, come scrive il noto esperto Carlo Oliva “In fondo, come la maggior parte dei duri, anche lui è un buono”.  Si sa che è “piuttosto  alto, piuttosto magro, piuttosto cattivo in faccia”, gira in pieno inverno “senza paltò, senza cappello, senza sciarpa, i capelli rasi con la macchinetta”, fuma le nazionali semplici, quelle forti.  Da ragazzo le ho provate anch’io ma non le sopportavo. Mi facevano venire subito la tosse. Fumare le nazionali significava essere virili, essere uomini. Ha uno stile di vita semplice, spartano. A suo carico la sorella, ragazza madre. E’ stato paragonato addirittura ad Antigone che paga fino in fondo le conseguenze della sua scelta (bello l’articolo di Marco Sangiorgi “Rileggere Scerbanenco” in “Delitti di carta” n°5 da cui ho tratto qualche spunto).  Ha un’idea idea di giustizia alla Hammurabi: occhio per occhio, dente per dente. Esprime i suoi concetti in modo brutale: negra per donna di colore, invertito per omosessuale, terrone per meridionale.  Il crimine per lui è una cancrena sociale e gli individui imbestialiti sono indistinguibili dalla fiere da cui prendono la forma esteriore. Nel mondo di Scerbanenco non c’è polizia, né giustizia, né ordine costituito. Non ci sono leggi. “Il mondo di Scerbanenco è un mondo completamente nero e immobile”. Esiste solo il mercimonio, soprattutto quello della carne. Il protagonista è duro, cupo come il suo autore. “Ho un cane arrabbiato dentro di me che mi morde sempre” diceva spesso. Nei quattro libri scritti con il Duca c’è l’incontro  con Livia Ussaro, una ragazza che ha le sue stesse idee (e sa giocare a scacchi!). Nasce finalmente, nel marasma generale, una bella storia d’amore.  Descritta con delicatezza, tenerezza e pudore.Scerbanenco se n’è andato al culmine del successo. Dopotutto non era quello che gli interessava.

 

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