Il titolo ricalca in parte, scherzando, le ben note Vite parallele di Plutarco. Le ho lette più di una volta (alcune, non tutte) ma ogni tanto mi viene la voglia di riprenderle in mano e riesco quasi sempre a trovarci qualcosa di nuovo. Non so se capita anche a voi. Forse perché crescendo nel corso degli anni noi stessi cambiamo e vediamo le cose in modo diverso. Cosicché il medesimo libro ci offre sensazioni, emozioni e riflessioni nuove. Dunque, dicevo, il titolo mi è venuto in mente ripensando al pregevole lavoro del noto storico greco ma lo spunto è nato dalla conoscenza che già avevo di alcune biografie relative a scrittori e scrittrici di gialli e di grandi giocatori di scacchi che hanno in comune una vita difficile o comunque tormentata. O una fine misteriosa. Come quella di Edgar Allan Poe e di Alexandr Alexandrovic Alekhine.

Chi è il primo qui lo sanno tutti e dunque andiamo subito al nocciolo della questione. Il 27 settembre 1849 Edgar Allan Poe parte alla volta di New York, per sbrigare alcune faccende e ritornare velocemente a Richmond, in Virginia, dove vuole sposare la vedova Sarah Elmira Royster, un vecchio amore di gioventù. Ma fra il 28 settembre e il 3 ottobre sparisce. Viene ritrovato in una locanda di Baltimora completamente fuori di testa con altri vestiti addosso e privo di soldi. Ricoverato d’urgenza in ospedale alterna momenti di delirio ad altri di una certa lucidità, ma non sa spiegare quello che gli è successo. Muore il 7 ottobre, e da allora inizia una ridda di insinuazioni e calunnie, dato che la vita dello scrittore era stata quella che possiamo definire “tutta genio e sregolatezza”. Vi è stata più di una teoria, ma nulla di certo e documentato.

Il secondo, sempre in questo sito, è forse meno conosciuto ma non meno importante. Almeno per la storia degli scacchi. E’ stato il quarto campione del mondo. Una vita prestigiosa, ricca di successi incentrata soprattutto sull’epico duello con Capablanca per il campionato del mondo. Vinto con grande impegno e fatica. Per lui gli scacchi erano tutto. Affibbiò il nome Chess anche al suo gatto. Se non ci fossero stati li avrebbe inventati. Ma ecco in poche parole la sua fine. Il cameriere che la mattina del 25 marzo 1946 entra con la colazione fumante in una stanza d’albergo ad Estoril non pensa certo di trovarsi di fronte ad una scena drammatica. L’uomo se ne sta tranquillamente adagiato nella solita persona con il capo lievemente inclinato verso la spalla sinistra e una espressione serena sul volto. Davanti a lui un tavolo sul quale sono sparpagliati piatti e vassoi e, più a destra, sopra uno sgabello, una grande scacchiera con tutti i pezzi al proprio posto. Sembra dormire. Il cameriere lo scuote e il braccio sinistro che pende al di fuori della poltrona oscilla più volte inerte. Aleksandr Aleksandrovic Alekhine ha terminato la corsa della sua vita. Il referto medico parlò, allora, di morte da soffocamento per un pezzo di carne rimasto infilato nella gola. Mario Leoncini, coautore con il sottoscritto del libro “Chi ha ucciso il campione del mondo? Scacchi e crimine”, Prisma 2005, ha qualche dubbio e a tale proposito si è immaginato un colloquio tra Holmes e Watson che riporto integralmente.

“Che cosa sta leggendo Watson?” mi chiese una volta Holmes vedendomi assorto nella lettura di un libro.

“Noto che c’è una fotografia, posso vederla?”.

“Certamente” gli dissi. “E’ una foto drammatica, scattata la mattina del 25 aprile 1946. Ritrae il campione del mondo Alexander Alekhine morto”. Holmes guardò la foto con la lente di ingrandimento.

“Come ha detto che è morto?”domandò.

“Non l’ho detto. Morì per avere ingerito un pezzo di carne lungo sette centimetri”.

Con mia grande sorpresa Holmes disse “Quest’uomo è stato ucciso”.

“Ucciso? Non è possibile!” sbottai.

“Se fosse morto soffocato” spiegò Holmes “si sarebbe alzato, avrebbe creato scompiglio, rovesciato i tavoli, probabilmente sarebbe stato trovato per terra e non sulla poltrona come fosse addormentato”. Ripresi in mano il libro e guardai di nuovo la fotografia. Holmes aveva ragione.

“Ammettiamo pure che non sia morto soffocato come dice la versione ufficiale. Come fa a dire che è stato ucciso?”.

“Elementare Watson. Se fosse morto per cause naturali, per un infarto, per esempio, non avrebbero avuto difficoltà a scriverlo nel referto medico. E’ evidente che si sono inventati una morte, una qualsiasi morte, spinti dalla necessità, probabilmente da pressioni esterne”.

“E come può essere morto?”.

“Watson, lei cena con il cappotto?”.

“No” risposi “Ma che c’entra?”.

“La fotografia ritrare Alekhine mentre sta cenando nella sua camera d’albergo con indosso un cappotto. Non lo trova strano?”.

“Poteva fare freddo, l’albergo poteva essere privo di riscaldamento”.

“Si era quasi a maggio ed è difficile che in quel periodo faccia freddo davvero. Sembra più probabile che Alekhine sia stato ucciso fuori dalla sua camera, forse mentre stava rientrando, e poi adagiato sulla poltrona”.

Ma da chi e perché? Alekhine, secondo questa ipotesi, fu ucciso da uno squadrone della morte creato dalla resistenza francese per giustiziare i collaborazionisti. Infatti  tra il 1941 e il 1943 partecipò ai tornei organizzati dai nazisti e scrisse anche alcuni articoli antisemiti (tra cui “Scacchi giudei ed ariani” e “Il concetto ariano di attacco” da lui sempre, comunque, negati) rivolti soprattutto contro scacchisti ebrei come Steinitz e Lasker. Tirata per i capelli? Beh, allora non resta che ritornare a quel maledetto pezzo di carne che non ne voleva sapere di scendere giù per l’esofago. Ma anche così…

Un altro aspetto che accomuna il re del mystery e il re della scacchiera, oltre la gloria nel loro campo e la fine misteriosa, è l’alcool. Tutti e due bevitori accaniti cercarono nel bere, forse, quella serenità che non avevano dentro.

 

Sito dell’autore www.libridiscacchi.135.it