“L'occhio di gatto”, invece, è un lavoro sorretto da uno stile elegante, sobrio, e privo di cadute di cattivo gusto, anche se sarebbe potuto  sconfinare nel grand-gnignol. ;Qui l'ispettore Belot è alle prese con un "caso" assai complesso: l'Occhio di gatto è la pietra incastonata nell'anello che ancora si trova nell'anulare della mano tagliata che un giovane trova nella sua valigia. Essa appartiene alla sua fidanzata, una donna più grande di lui. Il giovane viene sospettato della sua morte e di averle tagliato la mano, ma poi proprio l’indagine di Belot porterà ad un sottobosco inquietante e ad un finale strabiliante in cui ancora una volta una soluzione a specchio farà rimanere il lettore a bocca aperta, con due persone accusate una di aver ucciso senza volere ed un’altra di aver pianificato di uccidere senza averlo fatto e nel contempo però aver tagliato la mano per trarre vantaggio dalla colpevolezza dell’altro.“Il getto d'acqua” è la storia della famiglia Redoux,  e della sparizione della figlia maggiore. Quando Belot farà luce sul mistero, la scoperta della verità ai margini dell'incredibile porterà i Redoux alla catastrofe. E nel tempo stesso della rivelazione finale, lo zampillo dell’acqua nella fontana si interromperà. Interessantissima poi la “Double note sur le roman policier”. In essa Aveline espone il suo pensiero lucido d’intellettuale di punta a difesa del romanzo poliziesco: un genere troppo e da troppi sottostimato. Leggiamo una parte di essa molto significativa: “..Oggi ;uno dei volumi della Suite Polìcière, La doppia morte dell'ispettore Belot, era per me il

primo romanzo poliziesco quando fu pubblicalo nel 1932. Provai allora il bisogno di aggiungervi una prefazione Ci si ritrovava: Lettore, questo, se non erro, è un romanzo poliziesco. Tempo fa lessi un articolo, il quale decideva senza possibilità di discussione che vi sono due generi di romanzi: da un lato "i romanzi popolari, d'avventure e polizieschi" (che l'articolista chiamava anche "ro­manzi a buon mercato"), dall'altro "i romanzi letterari". Allora volli sapere che cosa convenisse intendere per "romanzo lettera­rio”. "Letterario", dice il Littré, e "ciò che appartiene alle belle lettere"; e le "belle lettere" sono cosi definite: "la grammatica, l'eloquenza e la poesia". Come si vede, non è affidandoci al signi­ficato preciso delle parole che potremo veder chiaro in questa distinzione misteriosa. Sarà dunque considerando un determinato romanzo dal punto di vista del suo valore commerciale che riusciremo a comprendere perché l'articolo in questione lo assegni alla prima categoria? e decideremo, in questo caso, che un "romanzo letterario" è un romanzo costoso? No, è meglio metter da parte gli scherzi e cercare di afferrare il pensiero del critico attraverso la debolezza dell'espressione; i "romanzi letterari" sono i buoni romanzi, gli altri, no. Un romanzo poliziesco non è un buon romanzo.Perchè dunque qualche brillante ingegno si compiace di legger­ne? E come avviene che la clientela di questo genere, oltre che una folla anonima, comprenda anche un'aristocrazia, che, d'altra par­te, ostenta il più grande disprezzo per i "romanzi letterari", i romanzi puramente psicologici, anche se concepiti e scritti con cura? Per quel che mi riguarda io conosco parecchi uomini seri, assorti in lavori e studi molto austeri, lettori attenti di saggisti, di filosofi, di storici, che sono veri fanatici del romanzo poliziesco e unicamente di quello. Mi si risponderà forse che questa e appunto la sua più grave condanna, poiché l'amore che quelle persone dimostrano per il romanzo poliziesco nasce dal fatto che esse ignorano il vero romanzo. No: quelle persone hanno letto, come tutti, La Certosa di Parma, Guerra e pace. Delitto e castigo e ne parlano con gratitudine. Ma non hanno tempo di cercare nel bai­lamme della produzione attuale quello che si avvicina a queste grandi opere. Nella produzione attuale non vedono che introspe­zione, capelli spaccati in quattro e in otto; problemi centrali, tutta roba che non da loro niente di quello che desiderano…”. E ancora, più in là: “…Non mi faccio illusioni. Se La doppia morte fosse appar­sa in una collana specializzata, sarebbe passata inosserva­ta dai critici, che si ostinano a ignorare la letteratura «po­liziesca». Un nome famoso d'editore sulla copertina, edi­tore che non aveva mai avuto niente a che fare, anche lui, con questa letteratura, attirò la loro attenzione. La lettura della mia prefazione li costrinse tutti a schierarsi prò o contro. «Originale», «pretenzioso», «definitivo», «inutile», «importante», «sfonda-una-porta-aperta»: ho avuto buoni alleati e rudi avversari. Ma avevo raggiunto il mio scopo, che era di veder scrivere su George Simenon, per esempio come su Frondaie o Dekobra. Quanto al romanzo, suscitò - dopo un unanime elogio della scrittura che mi ha commosso e del quale non ho tenuto nessun conto (questa edizione offre al lettore un testo interamente rifatto) - i commenti più contraddittori. Realizzava e tradiva le promesse della prefazione. Rompe­va con le vecchie formule e non apportava la minima novità. Era «super-poliziesco», algebrico, e sacrificava l'in­treccio alla psicologia. Su due punti, come mi aspettavo, doveva trovare «contro» la maggioranza della giuria. 1° Malgrado la mia affermazione preliminare, avevo voluto scrivere un romanzo poliziesco; 2° il tema del sosia… era incredibile”.