Pulvis et umbra di Antonio Manzini, Sellerio 2017. 

C’è tutto in questo nuovo romanzo di Antonio Manzini. Tutto il necessario a costruire un plot di rilievo nel solco di una consolidata tradizione. A partire dal personaggio principale, il vicequestore Rocco Schiavone trasferito ad Aosta, burbero, cinico e diretto (fuma anche spinelli, “rottura di palle”, “rottura di coglioni”, “cazzo”, “sticazzi”, “ecchisenefrega” da tutte le parti), il cane Lupa a fargli compagnia, avvolto da un’ombra malinconica dopo la morte della moglie Marina con la quale spesso parla come se fosse ancora viva.

Continuando, poi, con la sua squadra tra cui spicca l’agente Caterina Rispoli, in crisi con il fidanzato e con un passato tremendo alle spalle che porta un po’ di luce nel buio di Rocco (ci saranno i salti sul letto?). Non manca il solito questore, e qualcuno ancora più in alto, a rompere  gli zibidei (un classico).

Ma veniamo al sodo. Due casi: proprio ad Aosta l’uccisione di un trans, e a Roma un morto ammazzato con un foglietto scritto dove c’è il numero di cellulare del nostro vicequestore. Perché?… A questi si aggiunga la ricerca dell’amico Sebastiano che la vuole far pagare all’assassino di sua moglie.

Indagini difficili, complesse, sospetti, diffidenze e scontri fra colleghi, ordini inconcepibili dall’alto, la percezione di essere seguiti, spiati. Un’atmosfera pesante di “polvere” ed “ombra”, del passato e del presente,  alleggerita da momenti di ironia e sorriso sparpagliati al punto giusto, magari attraverso il dialetto di qualche personaggio divertente.

D’altra parte abbiamo di fronte una scrittura che si adatta a svariate circostanze e situazioni: leggera, profonda, malinconica, gioiosa, ironica, cinica, brutale, capace di mettere in rilievo le varie sfumature del sentimento. Personaggi vivi, concreti con le loro peculiari caratteristiche, gli entusiasmi e le fragilità, ricordi che si affacciano improvvisi a creare turbamento, passeggiate solitarie, incontri al tavolo di qualche ristorante, squarci di Aosta e, soprattutto, di Roma a rendere ancor più reale la vicenda.

Un viaggio nell’animo tormentato di un vicequestore già noto alla televisione. Colpo finale a sorpresa lungo la solita e consolidata tradizione. Ma, ormai, quello che soprattutto conta e fa la differenza tra gli autori di romanzi polizieschi, l’ho scritto e lo ripeto, non è tanto l’intreccio (difficile inventare qualcosa di nuovo) ma la scrittura. E qui ci siamo.